Marco Paolini e i suoi Antenati a Gradisca, «siamo stirpe di funamboli»

Marco Paolini e i suoi Antenati a Gradisca, «siamo stirpe di funamboli»

l'intervista

Marco Paolini e i suoi Antenati a Gradisca, «siamo stirpe di funamboli»

Di Timothy Dissegna • Pubblicato il 26 Mar 2023
Copertina per Marco Paolini e i suoi Antenati a Gradisca, «siamo stirpe di funamboli»

L'attore in scena martedì al Nuovo teatro comunale, «il cambiamento ha un prezzo e ora contestiamo il conto da pagare».

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In una società bulimica di futuro, l’unica cosa certa è che dentro di noi c’è qualcosa del passato. Nel nostro dna, infatti, rimangono le tracce di chi è venuto prima di noi, dei nostri antenati. Marco Paolini ha intitolato proprio così - Antenati, the grave party - il suo spettacolo, atteso martedì 28 marzo al Nuovo teatro comunale di Gradisca d’Isonzo. “Lo spettacolo - racconta lui stesso - è stata una scusa per parlare con queste persone, depositari di saggezza della tribù” con l’obiettivo di cercare risposte.

Un intento che si infrange subito davanti alle loro repliche. “Gli individui che incontro si guardano bene dal dare risposte coerenti con la mia domanda, che è posta male. Il percorso, quindi, è comprendere quanto è preziosa l’imperfezione, è l’arte di partire da quello che c’è senza immaginare un modello tecnologicamente avanzato di Sapiens adattabile a tutto”. Sono proprio i cambiamenti a cui va incontro l’uomo e il mondo che lo circonda che spinge l’attore a porsi interrogativi. Gli interlocutori, però, sono persone comuni.

“I miei antenati non hanno studiato a Mileto o con Aristotele, non pongo domande filosofiche. Sono persone che nella concretezza mangiano, bevono, si distraggono, sono curiosi delle tecnologie, fanno salti e non danno giudizi sul percorso”. Sul palco, quindi, si arriva a una “scoperta quasi stupita di come ci assomigliamo in un percorso così lungo e delle cose ci fanno sentire vicini”. È lo stesso Paolini a sottolineare come tutto si ricolleghi al concetto di famiglia, esteso alla sua massima forma attraverso il tempo e lo spazio.

Mentre scorrono i profili chi ha vissuto in un tempo ormai passato, ci sono gli scenari catastrofici che dominano il futuro, dal cambiamento climatico all’estinzione di migliaia di specie animale. “Ho profondo rispetto per le valutazioni degli scienziati e non ignoro questi segnali”. Però, nel suo testo, ”non c’è risposta al futuro. È il racconto di un costante adeguamento al mondo che ci circonda e come ogni specie modifichi il mondo che vive. Tutto ciò ha un un prezzo ed è come se ora contestassimo il conto” che il tempo porge.

“La componente preistorica, che è ben più lunga di quella storica, permette di agganciare dei fili che mi piace sentire come legami. Non sono solo dati ma relazioni con gli altri, tempo e spazio”. Non è la prima volta che Paolini gioca con il passato, riproponendo ad esempio la storia di Galileo. Cosa raccontano però queste vite al pubblico di oggi? “Il mio compito non è storiografico e, considerata la sintesi della parola detta, è considerabile che si creino finestre per chi ti ascolta. È sempre sorprendente l’effetto del teatro”.

In ogni caso, “è un bene che le persone non rimangano ferme. Se ciò che racconto produce una spinta o cambiamento, che dentro di sé porta domande, allora il lavoro è un tramite di qualcosa che non puoi verificare. Il teatro non è fatto per i lettori che verranno ma si consuma lì, cosa resta dopo? Si può dire che è stato un tramite per avvicinare le figure? Se succede, esula dal mio mestiere”. In ogni caso, l’attore e regista - che va in scena con le musiche di Fabio Barovero - si tiene ben lontano dalla filosofia, guardando anzi alla poesia.

Parole che ruotano attorno a un concetto dinamico e paradossale, forse: il disequilibrio. “Non esiste un equilibrio, il mio esperimento nello spettacolo salta alle prime battute. Se uno sa esattamente cosa sta cercando, sarà portato a scartare una serie di cose ma bisogna essere attenti alle sorprese. L’equilibrio non è quello che si trova nei manuali di ecologia, io parlo del disequilibrio” che caratterizza la vita stessa sul pianeta: “Siamo una stirpe di funamboli, non si sopravvive altrimenti, il vero nocciolo dell’evoluzione è proprio questo”.

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