Angurie e preghiere... antichi rimedi popolari contro la siccità

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Angurie e preghiere... antichi rimedi popolari contro la siccità

Di Ferruccio Tassin • Pubblicato il 23 Lug 2022
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Tra processioni e invocazioni, Ferruccio Tassin ci riporta in un mondo in cui si cercava di curare la mancanza d'acqua in altri modi.

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Non che sia lo stesso, ma stesso era il periodo in cui si accendevano desideri e invocazioni.
L’estate era sempre calda, ma non mettiamoci a discutere se più o se meno.
C’era - e c’è - l’estate, e si pregava per la pioggia.
“Signôr mandàit la ploja!” era l’invocazione ricorrente e di radicale, convinta, ripetizione.
La preghiera era individuale, di gruppo e inserita nella vita delle comunità cristiane.
A Chiopris, le donne pregavano per lo scopo alla settecentesca ancona di San Marco, che con l’acqua, come Santo, aveva a che fare.
Un po’ dappertutto si pregava Sant’Anna: intorno alla sua festa, si facevano vive le “montane”, particolari e insistenti rovesci d’acqua che salvavano da miseria e fame.
Navigando controtempo, ancora più di oggi, si vede l’uomo in balia della natura.
Le “annotazioni meteorologiche”, soprattutto quelle su avvenimenti straordinari, erano così importanti da punteggiare libri dei nati, dei defunti, “catapani”, rotoli di camerari.
Quando il sole, insistente, implacabile, toglieva linfa alla terra, la povera gente vedeva in pericolo, col raccolto, la vita propria e degli animali, allora si rivolgeva a Dio.
I missari (libri in cui erano annotate le messe) delle parrocchie sono pieni delle indicazioni di messe “Ad implorandam pluviam”, per implorare la pioggia.
Processioni penitenziali si snodavano nelle campagne.
Tra le preghiere, le litanie dei Santi, dove, nella prima parte, si invocavano i principali, e nella seconda, si chiedeva perdono a Dio, perché tenesse lontani i mali e perdonasse le colpe:“Ut congruam pluviam elargire digneris, Te rogamus, exaudi nos!” cantavano, con la disperazione nella voce e nel cuore.
“Congruam” doveva essere la pioggia, bastevole alle necessità; “elargire”, spargere con la larghezza del dono. “Digneris”: a Dio ci si rivolgeva con la certezza della sua onnipotenza, ma anche del suo essere al di sopra di ogni richiesta; “rogamus” chiedevano pregando; “te”, “nos”, immediatezza tra supplica dell’uomo e ascolto da parte di Dio; “exaudi”, quasi una forzatura, la implorazione a che prestasse orecchio favorevole.
Così, accadeva a volte che, dopo mesi di arsura, l’acqua consolasse la terra col saziarla; tornasse nei pozzi, e nelle rogge, risvegliando il forzato riposo dei mulini, riportando rivoli di speranza.
Ad Aquileia, si andava a “jevâ il Crist”, portare in processione il grande crocifisso medievale della basilica, per vedere se, con la sua intercessione e con la partecipatisssima processione, abbondante di clero e popolo le cose si incanalavano per il verso giusto.
I contadino dovevano continuare a provvedere ai campi (agente “chimico” e fisico contro le erbacce era la zappa); i muratori continuavano il lavoro che conferiva loro l’abbronzatura chiamata “neri di cop”.
Chi poteva, stava al fresco di case e alberi.
Le pesche, sempre per chi poteva, alleviavano il bisogno di liquidi (erano vendute non solo ai ricchi, quelle più mature, senza avvenire).
Ma la più popolare era l’anguria, soprattutto un tempo, l’anguria rotonda, succosa, che consolava bocche, papille, gengive, inondando gole riarse di sapori zuccherini che mandavano i sensi in visibilio.
Dopo l’acquisto, il suo destino era il secchio di acqua fresca, o il mastello (il frigo era di là da venire).
Ma già l’acquisto, benché il prezzo fosse molto più tenue dell’attuale era un problema.
I bambini strillando iteravano desideri senza freni; le donne di casa sembravano cedere, perché erano solo i maschi adulti che “consolavano la bocca” in osteria.
Ma ci voleva la sicurezza per l’acquisto.
Allora l’anguriaro cedeva alle richieste di donne di casa che volevano la garanzia.
Si faceva il “tassel”, un’operazione chirurgica che estraeva una pirimidina di buccia e polpa.
Il rosso vivo era la garanzia di non trovarsi davanti a una “coza”, una anguria fallita, una zucca, che avrebbe reso vedove di gusto le papille già messe in allerta per pascersi di gusto qualche istante.
E allora preghiere ad angurie per le estati passate. Adesso, nonostante tutto, è molto meglio! 

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