I DATI
L’allarme Anmil: «Non è un Paese per mamme». Troppi infortuni e occupazione femminile in calo

Il focus denuncia un Paese che penalizza le madri. In Fvg 1471 le donne vittime di incidenti, in aumento del 2,2%.
Le difficoltà della donna in Italia a diventare madre”, il focus che mette in evidenza le problematiche che impediscono alla donna di fare figli con tutte le conseguenze di natura socio economica e demografica che ne conseguono, su iniziativa del Gruppo Donne Anmil, un approfondimento ha messo in luce come le donne lavoratrici e madri risultano in media le più sacrificabili e sacrificate a causa del peso della cura della casa e della famiglia che ricadono quasi interamente sulle loro spalle.
A questo quadro funereo si aggiungono i dati sulle donne lavoratrici in Friuli Venezia Giulia: su 3806 incidenti denunciati nell’ambito del lavoro, 1471 sono riferiti alle donne con un +2,2% rispetto allo scorso anno. Anche se il quadro risulta critico, vi è un miglioramento sul fronte delle malattie professionali, ben 174, ovvero -4,9% rispetto all’anno precedente secondo i dati Inail elaborati dall’Anmil riferiti da gennaio a marzo 2025 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre in Italia anche sul versante delle malattie professionali in rosa vi è un notevole incremento con 6195 denunce e ben un + 7,9%.
Il Belpaese, non presentando un adeguato sistema di supporto finanziario alle famiglie e di servizi di sostegno alla maternità, tra l’altro, è andato incontro a quello che in termini tecnici viene definito “gelo demografico”: le donne sono state indotte a fare sempre meno figli e questo ha determinato un disequilibrio demografico tra nati e morti.
«Sono situazioni complesse quelle in cui si vengono a trovare oggi le mamme lavoratrici, che si aggravano quando queste si trovano a doversi fare carico anche di anziani non autosufficienti, di persone affette da gravi disabilità e che, come equilibriste, con estrema difficoltà si ritrovano a dover bilanciare il proprio ruolo professionale con le responsabilità familiari», dichiara il presidente Anmil del Friuli Venezia Giulia, Fernando Della Ricca. «Più aiuti anche a livello istituzionale, equità salariale, meno stereotipi e maggiori reti di sostegno, sono queste le istanze dell’Anmil a supporto del superamento delle discriminazioni di genere e del vivere serenamente la realtà di lavoratrici, di madri e di donne più in generale», riferisce il presidente.
È cominciato tutto nel 2014. Fino a quell’anno e già da molti decenni il numero annuo delle nascite in Italia si era attestato sempre al di sopra delle 500mila unità, un numero non esaltante ma comunque quasi sufficiente a mantenere un minimo di equilibrio demografico tra nati e morti, con il supporto decisivo della componente immigratoria. Nel 2014 è iniziata la crisi delle “culle vuote”, con il numero di nati che abbatte il muro delle 500mila unità per diminuire progressivamente fino al crollo del 2020, l’anno orribile della pandemia. In quell’anno si contarono circa 404mila nascite, scese a 400mila nell’anno successivo, per poi abbattere nel 2022, per la prima volta dall’unità d’Italia, un altro muro, quello dei 400mila nati, segnando il record storico negativo con 392.600 nascite. Infine, il 31 marzo scorso, l’Istat ha pubblicato gli indicatori demografici relativi al 2024, che certificano il progredire dell’andamento negativo della natalità nel nostro Paese: il numero delle nascite è ulteriormente sceso a circa 370mila unità, contro un numero di decessi pari a 651mila Di conseguenza la popolazione residente in Italia è diminuita per il decimo anno consecutivo, segnando un calo, rispetto al 2023, di “solo” 37mila persone, grazie al contributo dell’immigrazione, e scendendo agli attuali 58,9 milioni, a conferma di un trend decrescente divenuto ormai strutturale e, secondo le previsioni più pessimistiche, praticamente irreversibile.
A determinare una tale situazione contribuiscono vari fattori: nascite sempre più rare, famiglie sempre più piccole e invecchiamento costante della popolazione.
Uno dei dati più preoccupanti è quello sulla fecondità: secondo i dati Istat, nel 2024 in media ogni donna in Italia era madre di 1,18 figli, un numero che rappresenta il minimo storico dal dopoguerra ad oggi. Si tenga conto che il “tasso di fecondità” che, in questo caso rappresenta il “tasso di sostituzione standard” (che consente, cioè, di rimpiazzare il numero dei morti), è pari a 2,1, il che significa che ogni donna dovrebbe mettere al mondo almeno 2,1 figli per poter garantire un corretto ricambio generazionale. Ma allo stato delle cose, per recuperare tutto il degrado demografico accumulato nel tempo, nuovi modelli matematici, elaborati da tecnici dell’Università di Shizuoka in Giappone, spostano la soglia del tasso di fertilità a 2,7 figli per donna perché sia sufficiente per evitare l’estinzione a lungo termine di una determinata popolazione, specialmente se piccola.
In Italia, l’età media in cui la donna diventa madre continua ad aumentare e ha raggiunto oggi i 32,6 anni: questo significa che le donne fanno figli molto più tardi e in numero sempre più ridotto, riducendo peraltro anche il periodo residuo di fertilità.
Né può consolarsi il fatto che, allargando lo sguardo all'Europa, la situazione italiana non rappresenta la sola eccezione: un profilo demografico abbastanza simile al nostro si riscontra anche in altri Paesi europei, tra cui la Spagna.
Il trend in atto nel nostro Paese, peraltro, lascia prospettare scenari futuri poco rassicuranti: secondo gli esperti dell’Istat la popolazione residente è destinata a scendere dai circa 58,9 milioni attuali a 57,9 nel 2030, a 54,2 nel 2050 e a 47,7 nel 2070. Il rapporto tra individui in età lavorativa tra i 15 e i 64 anni e non tra gli 0-14 e i 65 anni e più passerà dal tre a due attuale, a circa uno a uno nel 2050, con problemi di ordine socioeconomico e soprattutto pensionistico facilmente immaginabili.
Entro il 2041, inoltre, soltanto una famiglia su quattro avrà almeno un figlio. La motivazione principale consiste fondamentalmente nel fatto che in Italia la maternità ha un effetto molto negativo sul lavoro delle donne di età fertile: tra i 25 e i 49 anni - secondo i dati Istat - è occupato solo il 53,9% delle donne che hanno uno o più figli, a fronte del 73,9% delle donne della stessa fascia di età ma senza figli, con un differenziale di 20 punti percentuali. Lo stesso tasso di occupazione riferito agli uomini della stessa fascia di età e che pure hanno figli raggiunge invece quasi il 90%.
Il peso della cura della casa e della famiglia ricade, come noto, quasi sempre interamente sulle spalle della donna e, inoltre, si aggrava ulteriormente se in famiglia c’è la presenza di un anziano non autosufficiente e/o di una persona affetta da gravi disabilità che richiedono assistenza continua.
Il rapporto tra la nascita di un figlio e le dimissioni dal lavoro è fortemente sbilanciato a sfavore del genere femminile: quasi il 70% delle donne occupate che si licenziano dal lavoro lo fa per la difficoltà di conciliare lo stesso con la cura del neonato, contro appena il 7,5% degli uomini.
Le difficoltà che la donna incontra nel conciliare i tempi di lavoro con quelli di cura della casa e della famiglia sono, dunque, la causa principale dell’abbandono del posto di lavoro per oltre due lavoratrici su tre. Solo per il 17% la causa dell’abbandono è l’insoddisfazione per il tipo di lavoro svolto, cioè per la sua libera scelta. Il risultato più evidente è che, nonostante i notevoli progressi registrati nel mondo del lavoro della donna negli ultimi decenni, il tasso di occupazione femminile italiano (relativo a donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni) rilevato da Eurostat si posiziona quasi 15 punti al di sotto di quello medio dell’Unione Europea.
Nel nostro Paese appena l’1,4% del pil viene destinato a sostegno di famiglia e maternità, contro il 2,1% della media europea e il 3,7% record della Danimarca.
Al di là degli aspetti demografici esistono situazioni che dal punto di vista emotivo rappresentano per la donna-madre la più grande tragedia che si possa immaginare: la perdita di un figlio a seguito di un incidente sul lavoro. Secondo le statistiche Inail, riferite all’ultimo quinquennio consolidato 2019-2023, in media ogni anno in Italia muoiono per infortuni sul lavoro 373 lavoratori di età inferiore ai 45 anni, che si presume abbiano quasi tutti la madre ancora in vita, data anche la grande longevità delle donne.
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