LA MANIFESTAZIONE
Il 25 Aprile a Ronchi ha il nome di Ondina Peteani: «A breve la cittadinanza onoraria»

Associazioni e realtà locali unite nel ricordo. Il figlio Gianni richiama i valori dell’antifascismo. Forte il discorso di Cuscunà, «fascismo ha odore di merda».
«Nonostante il tempo per noi è una bellissima giornata». Marina Cuzzi, presidente della sezione di Ronchi dei Legionari dell’Anpi, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, ha iniziato così il proprio discorso in occasione del 25 Aprile, Festa Nazionale della Liberazione dal nazifascismo.
Una giornata iniziata a San Lorenzo, nella chiesa parrocchiale, con la Santa Messa celebrata dal parroco, monsignor Ignazio Sudoso. «La Resistenza – così Sudoso – è stato un movimento di popolo, di tanti, non di una parte, e così la ricordiamo oggi nella settimana di Pasqua». Il passaggio, quindi, tra monumenti e lapidi: la prima proprio sulla casa canonica di via San Lorenzo a ricordo di monsignor Giovanni Battista Falzari, commemorato nel discorso da Libero Tardivo, presidente dell’Aned di Ronchi dei Legionari, che ha ricordato i fatti di accoglienza e ausilio al rientro nelle proprie terre a militari italiani e a civili jugoslavi dopo l’8 settembre 1943.
Al cimitero, di fronte al monumento, Marina Cuzzi, ha voluto ribadire la necessità di «tramandare alle nuove generazioni la Resistenza». Quindi, la tomba di Lojze Andric, partigiano di origine croata, sepolto proprio al camposanto di via D’Annunzio e al quale, il 28 ottobre del 1978, è stato dedicato un monumento. Venne incaricato da Ondina Peteani ed Elio Tambarin di ricevere la segnalazione utile, insieme a Plinio Tommasin e Egone Settomini, utile per uccidere Walter Gaslaschi detto “Blechi”, considerato una spia. Dunque, Andric era uno di quelli che venne incaricato dell’eliminazione di Blechi, ma venne ucciso, in base a quello che riportano buona parte delle testimonianze a Soleschiano, in un conflitto a fuoco, dopo una spiata avvenuta per via della Contessa Chiaradia che abitava a pochi metri dal luogo dove Andric perse la vita.
La cerimonia è proseguita a Selz, in via monte Cosich, e poi in Piazza Unità d’Italia al monumento al partigiano. «Se vogliamo che le future generazioni siano in grado di comprendere davvero il mondo in cui voi iamo – così Gastone Martinuzzi dell’Anpi – dobbiamo ripensare il modo in cui raccontiamo la storia. La storia è sempre qui, pronta a insegnarci qualcosa».
«Oggi, in un’Europa nella quale si propri confini ci sono aggressioni e guerre auspichiamo ancora la pace e in questo cammino guardiamo a quell’idea di Europa unita nata dalla Resistenza e dal Manifesto di Ventotene, così bistrattato dai nostri governanti che non l’hanno capito», ha tuonato Cuzzi dal palco allestito nel Palatenda di Piazzale martiri delle Foibe ricordando gli ultimi viventi di quegli anni, il partigiano Longino Sardon e il deportato Mario Candotto, entrambi 99enne . «Oggi quei valori e quelle speranze ci parlano ancora e con rinnovata virtù. Da quei valori dobbiamo partire per costruire l’Europa unita. Le piazze d’Europa, straripanti di bandiere azzurre stellate parlano chiaro: avanti, allora, con un abbraccio che va dal 1945 al 2025 per mantenerne e tramandare una democrazia che abbiamo ricevuto da chi è morto per la nostra libertà», ha ribadito la presidente ricordando chi «è morto per consegnare alle muovi generazioni gli orizzonti del futuro che avevano negli occhi i ragazzi del 1945. Oggi è tempo di una nuova Resistenza, uniti anche se diversi». Cuzzi, scendendo dal palco sulle note di “Un vessillo in alto sventola", eseguite dalla banda della Società Filarmonica “Giuseppe Verdi", è stata fortemente applaudita dal pubblico.
Cerimonia, dunque, non totalmente sobria come richiesto dalle indicazioni diramare a livello nazionale per il lutto indetto dopo la scomparsa di Papa Francesco. A Cuzzi è seguita Marta Cuscunà che ha ricordato la figura di Ondina Peteani a cent’anni dalla nascita su un palco ricolmo di associazioni locali con il sindaco, Mauro Benvenuto e la sindaca dei giovani, Gaia Marini. «Perché i fascisti sono cambiati, hanno rinnegato, ma ci sono ancora. Ce lo ricorda il partigiano Ferdinando De Leoni nome di battaglia “Falco” in una lettera ai giovani di oggi in cui dice: “Il fascismo è un modo di pensare. È un modo di fare. Non è semplicemente un partito. Considerate per esempio i clandestini che arrivano in Italia, giorno dopo giorno. Perché vengono puniti? Ci chiede Falco. Per quello che fanno? No. Vengono puniti per quello che sono. E niente altro», così Cuscunà. «E allora viene da chiederci: davanti a questo governo che continua a lasciar morire le persone migranti in mare, a chiuderle nei CPR, a deportarle in Albania privandole dei diritti umani fondamentali, o a riportare in Libia con un volo di stato uno dei loro peggiori aguzzini accusato di crimini contro l’umanità, davanti a tutto questo perché noi non ci ribelliamo?», si è domandata Cuscunà puntando il dito su gesti come il saluto romano, recentemente riportato alla ribalta negli Stati Uniti. «Aver normalizzato il fascismo significa vedere mille volte in tv e condiviso sui social Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, alla cerimonia per l’insediamento di Trump come presidente degli Stati Uniti, che fa il saluto fascista e non accorgersi dell’intestino che ribolle come succedeva al mio bisnonno quando sentiva arrivare da lontano i fascisti. Significa ascoltare Musk dire che è stato frainteso perché con quel braccio teso voleva solo dire “il mio cuore è con voi”, e non percepire la reazione istintiva di terrore che ci sconquassa le viscere. Cercherò di essere sobria ma credo che oggi sarebbe necessario servirci dell’intestino per somatizzare i neofascismi. Avere tutti una diarrea psicosomatica che ci faccia da sentinella ogni volta che normalizziamo il fascismo. Perché aver normalizzato il fascismo significa non accorgersi più della puzza di merda che ci circonda. Non sentire più l’urgenza di agire che aveva sentito Ondina e perfino il mio bisnonno.». Cuscunà ha poi sottolineato «Io ho cominciato a pensare a questa cosa ogni anno quando i fanatici dello squadrismo fascista, i sostenitori della X Mas e gli esponenti di Casa Pound, vengono accolti con tutti gli onori in Municipio a Gorizia. Una cosa che nel mio immaginario è inaccettabile. Che suona come una minaccia. Perché nonostante sembrino delle macchiette uscite da uno sketch grottesco di Fascisti su Marte, davanti alle loro bandiere con i teschi e agli amministratori pubblici con la fascia tricolore, io penso ma come è possibile che succeda questa roba? Si dovrebbe scatenare un enorme cordone sociale di protezione che impedisca questa oscenità, in modo che questa roba non si possa più fare. E invece succede».
Cuscunà è stata più volte applaudita, specialmente alle dure parole sul neofascismo, definito «puzza di merda che di deve far venire istintivamente un istinto di rifiuto» concludendo con un forte richiamo alla necessità di prendere una posizione e di «non rimanere impassibili» in questo tempo. All’intervento di Cuscunà è seguito il brano “Bella ciao” cantato – a differenza dell’Inno nazionale – da gran parte della platea.
«Sento in questa città qualcosa che nel resto d’Italia non sento più, calore umano, rispetto istituzionale e cerimoniale», ha esordito il figlio di Ondina, Gianni Peteani, nel ricordare la madre. «Nel raccontare l’eroismo della Resistenza si rischia di dimenticare l’orrore che c’è stato, la violenza del fascismo, i paesi bruciati, le torture, i deportati, cose che sono riemerse nella memoria di madre durante l’ultimo anno di vita, durante la malattia».
Peteani ha ricordato il lavoro fatto con Anna Di Gianantonio per ricostruire la storia della madre fino a dare l’intero lavoro alle stampe a livello nazionale e il racconto teatrale elaborato da Marta Cuscunà che ha superato recentemente le 300 repliche. Toccante la lettera aperta a Ondina Peteani dalle sorelle Andra e Tatiana Bucci, deportate bambine ad Auschwitz, letta dallo stesso Gianni: «Il tuo ricordo ha bussato alla nostra porta, e con lui, abbiamo conosciuto una parte di te. Tu hai trovato la forza di raccontare subito, mentre noi ebrei segnati, abbiamo scelto di tacere, perché dimenticare era il rifugio di nostra madre, sentendosi forse in colpa».
«Quando abbiamo finalmente cominciato a testimoniare, tu avevi già lasciato questo mondo. Mi chiedo spesso se ci fossimo incontrate, avresti potuto essere la nostra sorella maggiore che non abbiamo mai avuto? Insieme avremmo potuto percorrere il cammino della memoria, intrecciando le nostre storie come fili di un unico tessuto, che si oppone al tempo», così ancora la lettera.
Prima dell’intervento conclusivo del sindaco, Mauro Benvenuto, due scout del Reparto Ronchi 1, Isabel e Filippo hanno voluto portare un messaggio «ai più giovani» ricordando «chi ha dato la vita per la democrazia». Il primo cittadino ha letto la lettera che la senatrice, Liliana Segre, ha scritto alla memoria di Peteani che rimane «simbolo di grandi valori». Ronchi «è stata decorata con la medaglia d’argento al valore militare che ci ricorda la responsabilità della memoria. La Resistenza non si è conclusa in quegli anni ma prosegue ancor oggi, nella costruzione di una società più inclusiva e più giusta. Ai giovani dico: “Siate sentinelle della democrazia per noi e per la Patria”, perché il 25 aprile è ogni giorno», ha concluso annunciando di portare al prossimo consiglio comunale la proposta di conferire la cittadinanza onoraria alla memoria alla stessa Peteani.
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