Reimmesso in natura il gatto selvatico curato al Centro Baradel in collaborazione con l'Università di Udine

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Reimmesso in natura il gatto selvatico curato al Centro Baradel in collaborazione con l'Università di Udine

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 05 Dic 2025
Copertina per Reimmesso in natura il gatto selvatico curato al Centro Baradel in collaborazione con l'Università di Udine

Dopo essere stato investito, il 'fantasma dei boschi' è rimasto per oltre cinque mesi sotto osservazione fino alla liberazione di mercoledì scorso. È una specie protetta in via di estinzione inserita nella lista rossa IUCN.

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Solitario ed elusivo, con il suo passo felpato attraversa boschi e lande carsiche lontano dalla civiltà. Pelo tigrato e corporatura massiccia, il gatto selvatico europeo (Felis silvestri silvestris) è oggi in estinzione, a pieno titolo inserito nella lista dell’International Union for Conservation of Nature. Pur essendo un incontro raro, nel mese di giugno un cucciolo di questa specie venne investito da un’auto e portato al Centro di recupero fauna selvatica ed esotica di Terranova. «Il gatto arrivò a fine giugno – racconta il responsabile Damiano Baradel – a seguito di un investimento stradale. Era un cucciolo di poco più di due mesi con diversi traumi, abbastanza apatico e sotto shock, poco reattivo». Inizialmente accudito in una struttura agevole, negli ultimi tre mesi è stato gestito in una spaziosa voliera per mantenere la sua selvaticità. «Finalmente ieri (3 dicembre, ndr) siamo riusciti a rimetterlo in natura – rimarca - e da cucciolo che era è arrivato a pesare cinque chili, una grande soddisfazione». Nutrito con alimentazione simile a quella che troverà in libertà «per evitare difficoltà di reinserimento», è stato infine rilasciato insieme allo staff veterinario dell’università di Udine e all’esperto di grandi carnivori Stefano Filacorda. A supporto della reintroduzione e per monitorarne gli spostamenti, all’animale è stato inoltre applicato un radiocollare GPS. «Molti sono titubanti sull’utilizzo dei radiocollari – precisa - ma sono utilissimi in quanto offrono la possibilità di recuperare il soggetto in caso di necessità. Già anni fa l’applicammo ai rapaci, ad esempio, recuperando quegli uccelli che avevano manifestato problemi». Una strategia a sostegno dell’animale in difficoltà per la salvaguardia di una specie di interesse comunitario.

«Tanti hanno paura che il gatto possa rimanere strozzato con il collare – spiega - ma vi è stato effettuato un taglio apposito in modo che, se dovesse restare impigliato, anche esercitando una lieve forza il collare si strappi senza costituire alcun pericolo per l’animale. Il GPS ci consente inoltre di comprendere le abitudini di una specie ancora poco studiata e dal comportamento elusivo. Infatti, per il suo carattere viene soprannominato anche “il fantasma dei boschi”». Già tempo prima al centro venne portato un gatto selvatico rinvenuto vicino Trieste, poi liberato. «All’altro inserimmo un trasmettitore nel pelo – aggiunge – che si staccò dopo pochi giorni. Questo è stato recuperato sul Carso goriziano, speriamo non perda il collare». Non di rado vengono recuperati anche sciacalli dorati (Canis aureus), animali protetti per legge e oggi presenti in maniera stanziale sul Carso. «Anni fa – prosegue - recuperammo il primo cucciolo di sciacallo dorato, il primo curato in Italia e liberato con radiocollare insieme all’università. Primo in Italia e terzo in Europa». Un numero in aumento a causa della diminuzione di lupi, che a sua volta spinge le volpi altrove modificando l’ecosistema. «In alcune zone – chiarisce - sta calando il numero di volpi per una questione di competizione con lo sciacallo, che è un animale da branco più grande della volpe: l’allontana per proteggere la sua area di caccia».

Disturbati da spari e malvisti dagli abitanti del Carso, non di rado saltano in strada in pieno giorno fra le auto che attraversano il Vallone. «Non è normale vederli di giorno, ma probabilmente è dovuto al fatto che, essendo più numerosi, sono in cerca di cibo, sempre meno disponibile. Un po’ come i gabbiani ormai troppo confidenti, tanto che vengono a rubare il panino di mano. Gli sciacalli per ora sono protetti – sottolinea - ma non escludo che un giorno vengano attuati piani di contenimento. Anche se la natura dovrebbe mantenersi in equilibrio da sola, e gli squilibri sono sempre causati dall’essere umano. Basterebbe il lupo a far calare di numero gli sciacalli, però quando manca ci si chiede perché manchi, mentre quando comincia a comparire si protesta per abbatterli». A ricevere le cure di Baradel fu anche l’orsetto di Gorizia, che attualmente vive in un santuario in Germania: «Non fu possibile liberarlo – ricorda - a causa di un problema genetico, per cui doveva essere sottoposto a cure continue». Oltre ai selvatici, diversi sono stati gli animali esotici accolti, come il cucciolo di leone sequestrato dalla Polstrada di Palmanova nel 2010: «Era nato in un circo – rammenta - ma non era stato denunciato alla nascita e per la legge non esisteva». Destinato a un circo spagnolo per una vita in braccio a turisti e spettatori pronti a pagare per una foto, il piccolo presentava segni di malnutrizione e non sarebbe vissuto a lungo.

«Il problema – specifica - è che per far sì che questi animali restino tranquilli e fermi in braccio agli spettatori vengono nutriti esclusivamente a latte, così che quasi tutti manifestano problemi di rachitismo o muoiono entro il primo anno di età. Quando arrivò da noi aveva un principio di rachitismo, che pian piano siamo riusciti a curare». Oggi Leo – questo è il suo nome – vive presso il centro di recupero “Monte Adone” insieme alla leonessa Kora, in una struttura autorizzata anche alla detenzione di animali pericolosi. Liberato in natura, infine, il piccolo di cuculo (Cuculus canorus, ndr) recuperato a Gorizia lo scorso anno: «I cuculi non capitano di frequente – ammette - ma sono abbastanza gestibili come il picchio rosso (Dendrocopos major, ndr). Al contrario di specie come quello verde (Picus viridis, ndr), sensibile allo stress e difficile da alimentare in cattività, tanto che spesso bisogna sottoporlo ad alimentazione forzata». Tra selvatici ed esotici a passare dal centro sono circa 3mila animali all’anno, soprattutto caprioli, rapaci, merli e piccioni. «Tra i selvatici – riflette - la percentuale di liberazione è superiore al 70%, che è un valore ottimo. Alcuni arrivano in condizioni discrete da riuscire a reinserirli, altri non sono rilasciabili e si fermano qui al centro». Sono per lo più casi di investimento o avvelenamento la cui mortalità nel centro si aggira fra il 10 e il 15%, ma non mancano situazioni in cui a trovare la morte è la preda insieme al suo stesso predatore:

«Alle volte – evidenzia - arrivano caprioli investiti con fratture alla spina dorsale, e siamo costretti a sopprimerli, anche se la causa dipende molto dal periodo: in autunno e inverno la motivazione principale è l’investimento. Poi, capita di trovare tortora e falchetto morti entrambi. La prima perché cercava di sfuggire, l’altro in quanto talmente preso dalla caccia da non accorgersi dell’auto in arrivo». Fra le vittime spiccano anche fagiani liberati per la caccia - troppo confidenti o soltanto abbagliati dai fanali - ma le più difficili da evitare sono le specie selvatiche in grado di compiere grossi balzi. «Se si va piano si riesce a evitarli – ribadisce – anche se i caprioli possono saltare proprio sopra il cofano. Basta una frazione di secondo in più per fare la differenza». A tradire gli animali è poi la primavera e la stagione estiva, quando l’80% dei soccorsi riguarda pulli, nidiacei o anche cuccioli di riccio, leprotti da svezzare e animali sequestrati. Non trovano ricovero invece i cinghiali, considerati in sovrannumero o a rischio di trasmissione della peste suina, mentre gli animali acquatici con sospetta aviaria vengono inviati all’università o all’Istituto Zooprofilattico. Un delicato equilibrio su cui continua a pesare l’inosservanza dei limiti di velocità e il complesso delle attività umane, finalizzate al lucro piuttosto che alla tutela della salute pubblica. (Foto: Mattia Malerba, gentilmente concessa dalla Regione Friuli Venezia Giulia)

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