Live cinema, teatro e documentario: il ritorno della trilogia ‘Inabili alla morte’ porta al Verdi ‘L’alba dopo la fine della Storia/Zora po conku Zgodovine’

Live cinema, teatro e documentario: il ritorno della trilogia ‘Inabili alla morte’ porta al Verdi ‘L’alba dopo la fine della Storia/Zora po conku Zgodovine’

LA TRILOGIA

Live cinema, teatro e documentario: il ritorno della trilogia ‘Inabili alla morte’ porta al Verdi ‘L’alba dopo la fine della Storia/Zora po conku Zgodovine’

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 14 Set 2025
Copertina per Live cinema, teatro e documentario: il ritorno della trilogia ‘Inabili alla morte’ porta al Verdi ‘L’alba dopo la fine della Storia/Zora po conku Zgodovine’

“La cripta dei cappuccini” replica al Verdi il 16 settembre alle 19. Seguirà “V iskanju izgubljenega jezika/Alla ricerca della lingua perduta” il 17 alle 20 e il 18 alle 17 all’SNG di Nova Gorica. A chiudere la trilogia sarà “L’alba dopo la fine della Storia”, previsto al Verdi il 18 settembre alle 20.

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«Dove sorge l’alba? Dopo la fine della Storia», rivela nell’ultima messa in scena il regista Giacomo Pedini, riferendosi con amara ironia al saggio “The End of History and the Last Man” (1992) di Francis Fukuyama. Allestimento in cui una vera e propria macchina del tempo catapulta lo spettatore nei “favolosi” anni Novanta post-Guerra fredda, quando le democrazie parevano sane e la pace senza termine. Sta per tornare la trilogia “Inabili alla morte/Nezmožni umreti” con la riproposizione della pièce “La cripta dei cappuccini” - presentata lo scorso anno – e il freschissimo “L’alba dopo la fine della Storia”, attesi rispettivamente il 16 e il 18 settembre al teatro Verdi entrambi con la regia di Pedini.

A intersecare le due tragicommedie sarà “V iskanju izgubljenega jezika/Alla ricerca della lingua perduta” diretto da Goran Vojnović, ripresentato il 17 e 18 settembre all’SNG di Nova Gorica per un’unitaria Capitale transfrontaliera. Debutto in grande stile per l’ultimo capitolo indipendente della trilogia intitolato “L’alba dopo la fine della Storia”, scritto da Paolo di Paolo e firmato Pedini. Una produzione Associazione Mittelfest e SNG Nova Gorica che ha come media partner Rai Radio3, Rai FVG, Radio Slovenija-Program Ars, concretizzatasi nell’ambito della Capitale europea della cultura con il contributo della Regione e il sostegno di Go! 2025. Tre tappe per rappresentare il Novecento con l’occhio dell’Est (sloveno) e dell’Ovest (italiano) in una “visione binoculare” che fornisca lo spaccato di un’epoca di transizione, a partire dal declino asburgico. «”La cripta dei cappuccini” – spiega Pedini – è simbolico dell’inizio di questi stravolgimenti. Perché racconta il tramonto dell’Impero asburgico, la fine dell’Austria Felix e gli anni Venti, mostrandoci un mondo che ha molte affinità con il nostro. Un’epoca in cui ritroviamo da un lato la caduta, dall’altro i facili entusiasmi e le utopie, a coesistere con grandi contrasti sociali».

Lo spettacolo plurilinguistico – in italiano, sloveno e bosniaco con sottotitoli in sovraimpressione – gioca e fonde il teatro con il live cinema e l’assemblage documentaristico, forzando la canonica recitazione dei protagonisti costretti al contempo a confrontarsi con pubblico, schermo e telecamera. Grande l’impegno degli attori, che si sono cimentati in una lingua straniera pur senza parlarla: «La mia conoscenza del bosniaco si limita alle battute mandate a memoria», confessa Matilde Vigna (Michail Gorbačëv e Gloria/Slavenka). «Abbiamo la fortuna di avere Primož in compagnia – ammette Alberto Pirazzini (Tenente) – che mi ha aiutato nella corretta pronuncia». Una mescolanza di codici e linguaggi che coniuga il rallenty con lo sguardo in macchina in una sorta di Grande Fratello, dove gli attori interagiscono in spazi diversi ripresi da ben tre telecamere. «È un testo pieno di livelli – commenta l’attrice Camilla Semino Favro (Monika) – che unisce tanti temi, dalla guerra agli avvenimenti storici fino a passare alla scrittura e al rapporto fra Storia e vita privata. È straniante, avere tre telecamere a riprenderci, ma è uno spettacolo che unisce il cinema alla realtà fisica delle persone».

Un’esperienza rafforzata dall’escamotage del pannello mobile in proscenio che moltiplica la spazialità e ingigantisce i personaggi fino a schiacciarli, come accade durante il monologo delle dimissioni di Michail Gorbačëv. Fulcro e motore dell’azione è il variopinto carosello al centro del palco - lo stesso che gira senza sosta ne “La cripta dei cappuccini” dal quale gran parte del cast proviene – che in una giostra temporale mescola il passato al presente, la fine della Guerra fredda al nuovo Millennio. Un cortocircuito nel normale fluire dell’azione, perennemente sospesa in quest’andirivieni dove si agitano uomini come Viktor (Primož Ekart) costretti a sopravvivere al Novecento, e donne in cerca di una storia come Monika o Gloria/Slavenka, che invece alla storia cerca di sottrarsi. «Già nel romanzo emerge il tema del femminismo – rimarca Pedini – e a me sembrava giusto riportarlo in risonanza col presente. Nel romanzo di Joseph Roth si chiude un’epoca con l’annessione di Vienna da parte dei nazisti, in quest’ultimo spettacolo ho provato a raccontare il dopo».

Straniante è la scena dello stupro raccontata da Gloria a Monika, in telecamera e in parallelo nel video da Emiliano (Francesco Migliaccio). Ma ancor più dissonante è l’orgasmo sotto una tenda a stelle e strisce mentre il vero Gorbačëv parla in televisione, in un amaro parallelismo fra promesse disattese, amori finiti e democrazie morte. «Ho chiesto allo scrittore Paolo di Paolo di scrivere sulle grandi illusioni degli anni Novanta – prosegue - come la caduta del Muro di Berlino o l’apertura di nuove rotte. Un decennio di grande entusiasmo e ricchezza, se letto con gli occhi dell’Ovest europeo, parallelo alla Jugoslavia che viveva una guerra terrificante». Dopo la storia dell’antieroe Trotta che attraversa un mondo in frantumi – incarnato da Natalino Balasso - ecco due personaggi in antitesi, uno schiacciato e l’altro pronto a cavalcare l’onda. La trama ruota intorno alla scrittrice e regista Monika, intenta a raccontare la guerra e gli stupri, e del suo compagno, «uomo d’affari un po’ losco che su quella guerra lucra».

Un amore sul punto di essere sopraffatto dalla Storia, che scorre nel fiume in piena delle immagini in sordina con Papa Wojtyla o il crollo dell’Unione Sovietica, e ancora Trump, Netanyahu e la tragedia di Gaza, intersecata alla narrazione della bambina sgozzata in una Jugoslavia implosa. In quest’inghiottitoio temporale simile al reality il cafone Franco (Woody Neri) traffica i suoi intramontabili jeans Šumi, facendo riecheggiare la sua presenza nella scritta «Franco territory of Trieste». Con “Last Christmas” dei Wham! e “Lasciatemi cantare” di Toto Cutugno il sonoro s’intreccia ai documenti di Rai Teche o della Rtv slovena, in gran parte proposti come flash improvvisi che sedimentano nella coscienza dello spettatore. «Uno spettacolo che s’interroga su chi ha il diritto di raccontare – osserva Vigna – al quale però non si dà risposta», che resta affidata al pubblico. Dal metateatro la riflessione si sposta sul delicato meccanismo di scatole cinesi che è la Storia, che «non finisce mai. Si sposta, tutt’al più». «Perché – domanda retoricamente Pedini - la vita non è così? Non è la Storia che abbraccia un’altra storia, che abbraccia te che sei in mezzo alla Storia e non sai come dimenarti?».


Per informazioni e biglietti consultare il link: https://www.mittelfest.org/inabili-alla-morte-nezmozni-umreti-spettacoli/

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