Così cambia l'agricoltura: l'esempio di Fossalon, tra ricerca e prodotti agroalimentari

Così cambia l'agricoltura: l'esempio di Fossalon, tra ricerca e prodotti agroalimentari

L'INCHIESTA

Così cambia l'agricoltura: l'esempio di Fossalon, tra ricerca e prodotti agroalimentari

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 22 Ago 2025
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Diverse le aziende votate a tecnologie innovative, biologico o vendita a chilometro zero in quella che oggi è una fertile area agricola.

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Una ragnatela di canali artificiali disegna l’area bonificata come in un quadro di Mondrian, a tinte verdi o gialle a seconda della stagione. Fino agli anni Trenta Fossalon di Grado era un territorio salmastro e incolto sul cui fondale sabbioso cresceva rigogliosa la Zostera noltii, pianta marina dai più confusa con un’alga. Negli anni la frazione si sviluppò per accogliere i profughi istriani, e oggi la stessa comunità eccelle in campo agricolo e zootecnico, offrendo prodotti a chilometro zero o lavorati il cui obiettivo è la salute del consumatore. È quanto accade nell’azienda Bibalo, che oltre a frutta e ortaggi freschi offre anche conserve prodotte nel laboratorio in loco, sfruttando metodi innovativi a basso impiego di anticrittogamici. «Siamo qui da quindici anni – racconta il titolare Alessandro laureato in Tecnologie alimentari – ma già dagli anni Ottanta mio nonno prima e poi mio padre producevano frutta e verdura».

Una coltivazione basata sulla lotta integrata, che coniuga il metodo tradizionale con quello biologico prevalente. In primis attraverso ferormoni e trappole “cattura massale” per abbattere la popolazione di Ceratitis capitata – la mosca della frutta – o di parassiti introdotti con la globalizzazione. Trasportata nei container su navi o aerei, a diffondersi rapidamente nelle nostre colture è stata Halyomorpha halys, anche nota come “cimice asiatica”. «È un flagello – ammette - per tutte le colture, dalle pesche al pomodoro». Grazie a trattamenti mirati fondati sul monitoraggio di temperatura e umidità, la filosofia dell’impresa è utilizzare sempre meno fungicidi implementando la mass trapping. Ettari di terra lavorata con energia e passione, frutti anche trasformati per realizzare conserve, succhi o marmellate da gustare tutto l’anno. Nella piccola bottega sull’Isola d’Oro i turisti fanno incetta di confetture e passate per una vacanza all’insegna del gusto e prodotti sani, spalmando sul pane crema di fichi, cachi o pesche e scegliendo di condire la pasta con i sughi pronti della Bibalo.

«D’estate la città raggiunge le 90 mila persone – sottolinea – mentre d’inverno si attesta sulle sei o settemila». A ricevere rifornimenti di frutta fresca è anche la gelateria Antoniazzi su viale Dante Alighieri, che per produrre granite e gelati richiede ad Alessandro pesche, meloni o angurie. Affari che consentono all’azienda di mantenere una qualità eccellente nella lavorazione stessa. «Per il trasformato – mostra le apparecchiature – oltre al pastorizzatore abbiamo un concentratore che lavora sotto vuoto, evitando così alte temperature». Pur essendo lo zucchero un conservante, la quantità addizionata varia in relazione ai periodi secchi o piovosi. «Quest’anno – precisa – è stato asciutto e ne useremo meno, a differenza che in annate più piovose, quando la marmellata viene concentrata maggiormente. Lavoriamo sotto pressione di un bar, per bollire già a 70 gradi, mentre per la pastorizzazione trattiamo a 80 gradi per un tempo più lungo, anticipando l’imbrunimento degli zuccheri».

Una sonda raggiunge il cuore del prodotto per monitorare l’andamento della temperatura e distruggere i patogeni, mentre nel sugo pronto a essere controllato è sostanzialmente il pH. «La nostra passata pastorizzata dura due anni – rimarca – rispetta ai quattro dell’industria, ma il prodotto è ottimo». A finire in agrodolce è invece il celebre asparago bianco e la rosa di Gorizia, in quanto l'acidità offre maggior sicurezza contro il Clostridium. A fronte dei recenti casi mortali in Calabria e Sardegna Alessandro non ha dubbi: «Evitiamo il sott’olio perché comporta un rischio maggiore di botulino – chiosa – mentre l’aceto lo sfavorisce». Poco distante dall’impresa di Alessandro sorge un’altra piccola perla: è la società agricola La Bonifica nata dall’idea di Maurizio Sain e sua moglie Sabrina (in foto con la figlia Giada). I quali oltre ad allevare bestiame da latte accolgono le scolaresche nella fattoria didattica mostrando cavalli, caprette e persino un asinello albino. «I miei vennero qui nel ’58 come esuli - ricorda Maurizio - ottenendo la terra e quattro bovini. Nel 2001 ho costruito la prima stalla vendendo latte alle Latterie Friulane, e dopo il matrimonio con Sabrina nel 2003 abbiamo costruito il caseificio».

Dal montasio alla ricotta - ma anche stracchino, mozzarelle e yogurt ottenuto nel fermentatore - l’impresa produce e vende a chilometro zero sfruttando tecnologie all’avanguardia ed energia solare. «Abbiamo due robot per la mungitura – assicura - che mungono nell’arco di 24 ore». Ben 250 capi da latte raccolti in stalle aperte, pulite ogni ora dalle ruspe. Grande attenzione viene concessa anche al benessere animale, riservando ai bovini apposite spazzole pulitrici e sistemi di raffrescamento. «Ogni anno – prosegue – un veterinario monitora le condizioni dell’allevamento e assegna un punteggio: il nostro si aggira intorno a 85, piuttosto alto». Se il fabbisogno de La Bonifica è coperto all’80%, limitando acquisti a farina di soia e integratori minerali, non mancano pannelli fotovoltaici e generatori di corrente a garanzia della sostenibilità energetica. Prossima ormai la costruzione di una stalla che mantenga gli animali al pascolo per 60 giorni all’anno, mentre è scarso l’impiego dei farmaci. «A sette mesi – chiarisce – le vacche vengono messe in asciutta selettiva siliconando il capezzolo per due mesi». Il silicone viene tolto al momento del parto, abbassando i casi di mastite ed evitando l’impiego di antibiotici che possano passare nella dieta umana.

Trenta ettari di seminativo biologico sono invece peculiari alla vicina ditta di Lorena Bagolin, che impiega esclusivamente prodotti certificati per alimentare i suoi capi. «Siamo una piccola azienda – spiega la titolare – in cui nutriamo e alleviamo suini, per poi rivendere carni fresche, preparati o insaccati». Una terra «di temporali e primule», come scriveva Pasolini, da cui a rotazione Lorena ottiene mais, soia, girasole e orzo certificato biologico dal 2016, bandendo i diserbi e utilizzando concimi organici a lento rilascio. «A seconda del raccolto – puntualizza - posso usufruire di concime “pellettato” come concentrato naturale». Due preziosi mulini vecchio stampo affiancano essiccatoio e silos garantendo la preparazione controllata dei mangimi. «Mio marito – specifica - macina due o tre volte a settimana tre tipi di alimenti: orzo, mais e soia sbucciata». Il pascoliano «palpito lontano d’una trebbiatrice» ancora pulsa nei campi di Fossalon insieme ai mulini, ormai scomparsi in campo zootecnico.

«È una cosa che nessun’azienda ha: tutti ordinano il sacco già pronto e danno da mangiare ai maiali, invece qui prepariamo un mix su indicazione del veterinario, a seconda delle fasi di crescita». Tre tipologie di mangime preparati ad hoc e somministrati in funzione del peso del gruppo. Dal 2011 la produzione si serve inoltre di venti chilowatt in pannelli fotovoltaici di autoconsumo, associati a un accumulatore da dieci. Controlli a tappeto da parte dell’Asl di Gorizia assicurano infine un monitoraggio costante contro la temuta peste suina, in addizione agli adeguamenti richiesti. «Siamo super controllati - ribadisce - sia per il benessere sia per la tutela dell’allevamento». Dalle recinzioni distanti dalle finestre alle reti per preservare i box, i suini hanno sufficiente spazio e restano inaccessibili a cinghiali potenzialmente infetti. Una vendita a chilometro zero nello spaccio aziendale in loco, che fidelizza il consumatore con prodotti di eccellenza. «Altre aziende come noi – garantisce - in Friuli non ce ne sono. Non è un lavoro semplice – conclude - ma teniamo duro finché si riesce, e la clientela riconosce la qualità del nostro prodotto. Ho aperto lo spaccio carne nel 2001, gli acquirenti di una volta sono rimasti».

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