LA PRESENTAZIONE
Gradisca, Aida Kamber by Balkanka presenta ‘Sejdia – l’identità perduta’. «Una guerra bugiarda ed incoerente»

Una struggente autobiografia, che ripercorre i quattro anni di conflitto nei Balcani raccontati dagli occhi di una bambina.
È stato presentato ieri sera, venerdì 11 luglio, nella sala espositiva “La Fortezza” di Gradisca, l’autobiografia “Sejdia – l’identità perduta” di Aida Kamber by Balkanka.
L’evento, denso di ricordi ed emozione, ha visto l’autrice ripercorrere con grande intensità i momenti più drammatici della sua vita durante l’assedio di Sarajevo, il massacro di Srebrenica e la guerra nei Balcani, che all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso ha insanguinato la Bosnia e dilaniato l’intera ex Jugoslavia.
Particolarmente sentiti da Aida i momenti del conflitto nella città di Sarajevo, dalle scariche improvvise di granate alle sparatorie che coinvolgevano civili innocenti, anziani e persino bambini, "colpevoli" solo di appartenere alla fede musulmana o di avere un legame politico diverso.
«Ricordo che nel giardino della scuola giuravamo al presidente Tito di diventare bravi e buoni bambini, ed io ci credevo e ne andavo orgogliosa – racconta l’autrice – ma se ci penso adesso, capisco che era solo un patto bugiardo e incoerente».
A sottolineare il ruolo importante della madre di Aida sono state le domande della moderatrice Bisera Mehič , l'accompagnamento musicale di Marta Tuan e la lettura di Marisa Macorig, che hanno raccontato, fra le righe, quanto quella donna fosse attaccata alla vita e, soprattutto, alla protezione della sua unica ed amatissima figlia: «Quando ci tesero un agguato in piazza a Sarajevo, mia madre mi prese per mano e, correndo, mi portò su quel tram rosso – racconta Aida – poi ci fu una pioggia di proiettili, che colpirono tutte quelle persone scese pacificamente in strada per manifestare la volontà di pace; c’erano solo sangue e urla disperate».
Seguirono poi quattro anni di incessante guerra, tra massacri di civili e quartieri completamente distrutti dalle granate. La famiglia e l’intero vicinato di Aida Kamber furono costretti a rifugiarsi nelle fogne: «Vivevamo nel sottosuolo con i topi, con i quali ho fatto amicizia – recita Macorig – mia madre mi aveva costruito un letto di fortuna fra due vecchie sedie d’ufficio. Io, in quel momento, ero felice: nella miseria e nella paura ero ancora viva, vicino alle mie amiche e alla mia mamma».
Pochi erano i momenti di serenità, dai piccoli giochi improvvisati nel sottosuolo all’arrivo fortuito delle derrate alimentari fornite dagli americani: «Ero sottopeso e gravemente malata – racconta con emozione l’autrice – avevamo a disposizione pochissima acqua, spesso contaminata o avvelenata. Potevamo bere solo due bicchieri al giorno a testa e, se ci andava bene, il bagno lo facevamo a fine mese».
Poi, dopo tanta disperazione, un momento di apparente felicità. Una festa, nello specifico una partita di pallone per i bambini della città, che coincideva con la fine del Ramadan e che per qualche ora restituì un po’ di spensieratezza, divenuta ormai un concetto quasi utopico tra i bambini bosniaci.
«Ricordo perfettamente quel giorno, stavo giocando a palla con le mie amichette sotto la luce del sole, mia mamma era serena e rideva con gli altri genitori, poi un frastuono assordante, seguito da una pioggia di piombo e granate».
Fu da subito chiaro agli occhi della piccola Aida che si trattava dell’ennesimo agguato: 11 bambini morirono e centinaia di persone rimasero gravemente ferite e mutilate, in un massacro vile ed inaspettato.
Queste carneficine imperversarono per 1425 interminabili giorni, durante i quali furono uccisi quasi 40mila civili e 60mila militari, in un conflitto che, paradossalmente, avrebbe dovuto portare pace e indipendenza all’attuale Bosnia-Erzegovina.
«Un’iniziativa toccante, con un passato difficile da accettare per la sua crudeltà – ha dichiarato il vicesindaco di Gradisca, Enzo Boscarol – dobbiamo evitare il più possibile che questi eventi si ripetano».
Anche Flavio Snidero, socio della Gradis’carte, ha definito l’evento «un momento di importanti testimonianze, per ricordare a tutti le orribili conseguenze che possono portare i conflitti armati».
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