L’EDITORIALE
Editoriale - La notte in cui Brazzano ha perso passato e futuro
Un 32enne bavarese che aveva scelto il Collio come casa. Un'83enne che da quella terra non se n'era mai andata. La frana del monte Quarin li ha uniti nella tragedia, strappando a Brazzano ciò che era e ciò che voleva diventare.
Di un ragazzo che per 25 anni ha chiamato Brazzano casa
Solo oggi, dopo la giornata tragica di ieri in cui non c'è stato tempo di riflettere, realizzo cosa significhi davvero l'espressione "perdere un pezzo di se stessi".
Ho vissuto a Brazzano per venticinque anni. Conosco il peso specifico del silenzio di questo borgo dopo il tramonto, quando le luci della chiesa di San Giorgio si accendono sulla collina e sembra che il tempo si fermi. Conosco il suono dei passi sulla via acciottolata, l'odore del mosto in autunno, il ritmo lento delle giornate che si susseguono identiche e proprio per questo rassicuranti. Pensavo di conoscere anche il colle sopra di noi, quella che da sempre ci protegge e ci definisce.
Ieri notte ho scoperto che non la conoscevo affatto.
Trecentosessantadue millimetri d'acqua in sei ore. Non è solo un dato pluviometrico: è il cielo che si rovescia sulla terra con una violenza che nessun modello meteorologico aveva previsto, nessuna allerta aveva anticipato. È la scalinata della chiesa trasformata in cascata, è il ventre del monte Quarin che si apre e vomita fango, pietra, memoria. È la fine di due vite che non avrebbero dovuto finire quella notte, non così, non insieme in una tragedia che lega un trentaduenne bavarese e un'ottantatreenne brazzanese in un destino che sembra scritto da una penna troppo crudele per essere vera.
Quirin Kuhnert e Guerrina Skocaj. I loro nomi oggi risuonano in tutte le testate nazionali, ridotti a vittime di una statistica climatica, a numeri in un bollettino di emergenza. Ma per noi che abbiamo abitato questo borgo, erano altro. Erano tessuto connettivo, erano il prima e il dopo di questa comunità, erano la dimostrazione vivente che Brazzano non è un luogo geografico ma una scelta esistenziale.
Guerrina aveva ottantatré anni, ma parlare della sua età è come descrivere un albero contando solo gli anelli. Viveva nella casa più esposta verso la collina, appollaiata difronte alla chiesa di San Lorenzo Martire. Era una di quelle presenze che definiscono un luogo senza bisogno di grandi gesti: la signora che salutava dalla finestra, che conosceva i segreti delle stagioni e il nome di ogni famiglia, che aveva visto Brazzano cambiare generazione dopo generazione rimanendo sempre uguale a se stessa.
La sua casa era lì da sempre, appollaiata sul pendio come a sfidare la gravità e il tempo. Ottantatré anni di vita, di cui chissà quanti passati in quella stessa abitazione, a guardare il mondo da quella stessa finestra. Ottantatré inverni, ottantatré primavere. Non aveva mai avuto bisogno di andarsene, di cercare altrove. Brazzano le bastava, come basta a chi ha capito che la felicità non è una questione di movimento ma di radicamento.
Quando penso a Guerrina, penso alla continuità. Alla fedeltà silenziosa verso un luogo che aveva scelto o che forse l'aveva scelta. Penso a tutte le tempeste che quella casa aveva visto, a tutti gli temporali che aveva resistito. E penso all'ingiustizia abissale che proprio quella casa, proprio quella notte, sia diventata una trappola.
Nessuno parlerà molto di Guerrina nei prossimi giorni, temo. La narrazione si concentrerà sull'eroe tedesco, e giustamente: il suo gesto lo merita. Ma Guerrina non era solo la donna che andava salvata. Era una vita intera, era la memoria vivente di questo paese, era una di noi. E il fatto che sia morta nella sua casa, nel luogo dove probabilmente si sentiva più al sicuro al mondo, è una crudeltà che non ha bisogno di aggettivi.
Quirin invece era l'opposto dialettico di Guerrina: era il movimento, l'altrove che sceglie di diventare qui, lo straniero che diventa più locale dei locali. Trentadue anni, bavarese di nascita ma collinare d'adozione. Per vent'anni era venuto qui in vacanza, attratto da qualcosa che va oltre le cartoline turistiche del Collio. Forse era il ritmo, forse la luce particolare che hanno queste colline al tramonto, forse semplicemente il fatto che qui le persone ancora si conoscono per nome e si fermano a parlare per strada.
A febbraio di quest'anno aveva preso una decisione che in molti avrebbero definito folle: lasciare la Germania, la carriera, le certezze, per rilevare il vecchio negozio di alimentari di Toni Bon. Quel negozio era chiuso da tempo, e la sua chiusura era stata un piccolo lutto collettivo, uno di quei segnali che i paesi stanno morendo. Quirin lo aveva riaperto con un nome che era un manifesto: "Buon Sapore". Non un nome trendy, non un'etichetta alla moda. Semplicemente la promessa di riportare qualcosa di autentico in un luogo che l'autenticità l'aveva sempre avuta nel DNA.
«Voglio creare un punto d'incontro per la comunità» aveva detto. E lo stava facendo. In pochi mesi quel negozio era tornato a essere quello che era sempre stato: un luogo dove ci si incontra, dove si scambia più che merce. Dove un pezzo di formaggio locale diventa il pretesto per una conversazione, dove il turista scopre che il vero Collio non è nelle enoteche patinate ma nella genuinità di un salumiere che ti racconta la storia di ogni prodotto.
Quirin aveva capito qualcosa che molti italiani hanno dimenticato: che questi borghi non sono musei da preservare in formaldeide, ma organismi viventi che hanno bisogno di sangue nuovo per continuare a pulsare. Lui, tedesco, bavarese, forestiero, si era fatto custode di un'identità che non era la sua per nascita ma lo era diventata per scelta. E questa è una forma di appartenenza ancora più forte, ancora più autentica.
La notte tra domenica e lunedì, il cielo ha deciso di aprirsi su Brazzano con una ferocia primordiale. L'allerta era gialla, il pericolo considerato moderato. Ma la natura se ne frega delle nostre categorie, delle nostre rassicurazioni burocratiche. In sei ore ha scaricato su queste colline più acqua di quanta ne vedano alcuni deserti in un anno intero.
Quirin era sveglio, ovviamente. Aveva persino postato un video sui social che mostrava la scalinata della chiesa trasformata in un fiume in piena. Non era paura quella che traspariva dal video, era stupore quasi fanciullesco di fronte alla potenza della natura. Non poteva sapere che quelle immagini sarebbero diventate le sue ultime parole al mondo.
A un certo punto, lui e Jessica hanno capito. La casa non era più sicura. Sono usciti, si sono messi in salvo. La parte razionale della storia finisce qui: erano salvi, il peggio per loro era passato.
Ma Quirin, evidentemente, aveva un'altra idea di cosa significhi essere salvi. Forse perché era un tedesco che si sentiva italiano, forse perché aveva scelto Brazzano e quindi aveva scelto anche i brazzanesi, forse semplicemente perché era fatto così – ha preso una decisione che la maggior parte di noi, col senno di poi, giudicherà eroica ma che lui probabilmente considerava semplicemente necessaria.
È tornato indietro.
Ha bussato alla porta di un'altra vicina, l'ha svegliata, l'ha fatta scappare scalza e in pigiama sotto la pioggia. L'ha salvata. Poi ha proseguito, arrampicandosi verso la casa di Guerrina, quella più esposta, quella più in pericolo. Non ce l'ha fatta. La montagna, che lui aveva amato così tanto da sceglierla come casa, lo ha inghiottito insieme a tonnellate di fango e roccia.
Dodici ore per trovarlo. Dodici ore in cui tutto il paese ha trattenuto il fiato, in cui le ruspe scavavano e noi tutti sapevamo, sapevamo già, ma continuavamo a sperare perché è l'unica cosa che possiamo fare di fronte all'impossibile. Quando alle 17:30 di ieri hanno recuperato il suo corpo, qualcosa si è spezzato definitivamente in questo borgo. Non era solo un morto: era la morte di un sogno, era la dimostrazione che la bontà non protegge, che l'amore per un luogo non ti salva dalla sua furia.
Altre cinque ore per Guerrina. Recuperata alle 22, sotto gli stessi detriti che avevano ucciso chi era corso a salvarla. C'è qualcosa di terribilmente shakespeariano in questo destino incrociato: l'anziana radicata nel suo borgo e il giovane che quel borgo aveva scelto, uniti nella morte dalla stessa colata di fango, dalla stessa montagna impazzita.
Oggi verrà allestito un angolo di ricordo per Quirin all'incrocio di via San Giorgio, dove ogni anno si fa l'albero di Natale. Jessica, insieme ad altri, cercherà di pulire il negozio – anche se "pulire" sembra una parola oscenamente inadeguata per descrivere cosa si fa quando metri cubi di fango hanno sepolto non solo un locale commerciale ma un sogno appena nato. I fiori saranno posti più avanti, sull'incrocio, dove c'è più spazio e dove tutti potranno fermarsi.
Ma mentre penseremo a Quirin, dovremo ricordarci anche di Guerrina. Perché questa non è solo la storia di un eroe straniero che muore salvando un'anziana. È la storia di due vite che si intersecano nel momento più buio, è la storia di un borgo che perde contemporaneamente il suo passato e il suo futuro.
Guerrina era quello che eravamo. Quirin era quello che volevamo diventare: un luogo aperto, capace di attrarre e trattenere chi sceglie di amarci. Insieme incarnavano l'impossibile equilibrio che ogni comunità piccola cerca disperatamente: mantenere le radici accogliendo il nuovo, preservare l'identità rimanendo vivi.
C'è una domanda che mi tormenta e che so tormenterà anche voi: Quirin doveva tornare indietro? Aveva il diritto di mettere a rischio la propria vita? Era necessario quell'ultimo gesto, quella corsa verso la casa di Guerrina?
La risposta razionale è no. Era già salvo. Aveva fatto abbastanza salvando un'altra persona. Nessuno gli chiedeva di più. Nessuno si sarebbe sentito in diritto di giudicarlo se fosse rimasto al sicuro con Jessica.
Ma la risposta vera, quella che brucia dentro e che definisce chi siamo veramente, è sì. Sì, doveva farlo. Non per un senso del dovere astratto, non per eroismo cinematografico, ma perché quando scegli un luogo, quando dici "questo è casa mia, questa è la mia gente", quella scelta ti obbliga. Ti obbliga a non voltarti dall'altra parte quando la tua vicina è in pericolo. Ti obbliga a essere coerente con la comunità che hai scelto di abbracciare.
Quirin è morto per questa coerenza. E il fatto che sia morto per salvare qualcuno che non è riuscito a salvare è un dolore ulteriore, una crudeltà nella crudeltà. Ma il suo gesto resta. Resta come misura di cosa significa davvero appartenere a un luogo, di cosa significa aver scelto non solo le vie e i panorami, ma anche le persone, con tutto il peso che comporta.
Questa tragedia ci pone domande che vanno oltre il lutto immediato. Perché l'allerta era gialla quando la pioggia è stata biblica? Perché le case più antiche, quelle più esposte, non hanno sistemi di allerta più sofisticati? Perché in un territorio fragile come il nostro non investiamo in prevenzione con la stessa urgenza con cui investiamo in emergenza?
Ma oggi non è il giorno delle polemiche. Oggi è il giorno del dolore puro, quello che non cerca spiegazioni perché sa che non ne esistono. È il giorno in cui Brazzano si guarda allo specchio e vede due vuoti che non si riempiranno. Il negozio di Quirin rimarrà chiuso, e ogni volta che passeremo davanti sentiremo il peso di quella saracinesca abbassata. La casa di Guerrina è andata via con lei, sepolta sotto la collina che per ottantatré anni era stata sfondo e protezione.
Scriverò "è andata via" perché "è morta" sembra troppo violento, troppo definitivo per una donna che era parte del paesaggio quanto gli ulivi e le viti. Guerrina non è morta: è stata riassorbita dalla terra che aveva abitato, in un modo che mai avremmo voluto.
Stanotte non ho dormito. Ho pensato a Quirin che corre sotto la pioggia, a Guerrina che sente bussare alla porta sapendo che non è una visita di cortesia, alla montagna che si spacca e scende. Ho pensato al momento esatto in cui la vita diventa morte, alla frazione di secondo in cui il coraggio si trasforma in tragedia.
Ho pensato a Jessica, che ha visto il suo compagno tornare indietro e non tornare più. Al peso che porterà per tutta la vita: l'orgoglio di aver amato un eroe e il dolore straziante di averlo perso per quella stessa qualità. Ho pensato ai familiari di Guerrina, se ne ha, al fatto che probabilmente si aspettavano che la sua vita finisse piano, naturalmente, non così, non travolta dal fango a ottantatré anni.
Ho pensato al paradosso crudele per cui spesso sono i migliori a morire per primi, mentre i mediocri restano al sicuro. Ho pensato al fatto che Quirin aveva trentadue anni e una vita intera davanti, e invece di viverla l'ha data via, tutta, in una notte.
Cosa rimane dopo una tragedia così? Rimane un paese più piccolo, più spaventato, più consapevole della propria fragilità. Rimane un angolo di ricordo dove metteremo fiori che appassiranno come sono appassiti loro. Rimane un negozio chiuso che avrebbe dovuto essere aperto per decenni. Rimane una casa crollata che per ottantatré anni era stata roccia.
Ma rimane anche qualcos'altro, qualcosa di più difficile da definire ma altrettanto reale: rimane l'esempio. Rimane la dimostrazione che l'eroismo esiste ancora, anche se uccide chi lo pratica. Rimane la prova che l'appartenenza a un luogo non è questione di documenti o genealogia, ma di scelta e coerenza.
Quirin Kuhnert era tedesco ma è morto da brazzanese. Guerrina Skocaj era brazzanese ed è morta da brazzanese. Entrambi hanno incarnato, nel modo più tragico possibile, cosa significa davvero essere parte di una comunità: rimanere, prendersi cura, non voltarsi dall'altra parte.
Oggi verranno posti fiori all'incrocio di via San Giorgio. Il negozio verrà ripulito, anche se tutti sanno che non riaprirà più, non così, non senza Quirin. Ci si abbraccerà, si piangerà, si cercheranno parole che non esistono per descrivere questo vuoto.
E poi, nei giorni che verranno, dovremo scegliere: lasciare che questa tragedia ci paralizzi o farne un punto di partenza. Quirin aveva scelto di investire qui, di credere in Brazzano quando molti di noi stavano perdendo la speranza. Il modo migliore per onorarlo non è solo ricordarlo, ma continuare quello che aveva iniziato: mantenere vivo questo borgo, accogliere chi vuole farne parte, proteggere chi ci abita.
E Guerrina, con la sua presenza discreta e costante, ci ha ricordato che questo luogo vale qualcosa proprio perché ci sono state persone che gli hanno dedicato un'intera esistenza. Il modo per onorarla è non dimenticare, è continuare a essere quel tipo di comunità in cui gli anziani non sono invisibili, in cui ci si conosce per nome, in cui una vicina di ottantatré anni non è solo un numero in una casa.
Stanotte la montagna ha preso due vite. Una che qui era nata per scelta, una che qui era rimasta per fedeltà. Due vite diverse ma unite dallo stesso filo: l'appartenenza a Brazzano, quel piccolo borgo sotto il monte Quarin che oggi piange i suoi morti e si chiede come si fa a continuare.
Si continua come hanno fatto loro: radicandosi, prendendosi cura, non voltandosi dall'altra parte. Si continua perché la vita è ostinata e feroce, e anche quando la montagna crolla continua a cercare un modo per rigenerarsi.
Quirin e Guerrina non torneranno. Ma quello che ci hanno insegnato – lui con il suo gesto finale, lei con la sua vita intera – rimarrà. Rimarrà nei fiori che appassiranno e in quelli che verranno dopo. Rimarrà nel modo in cui ci guarderemo d'ora in poi, più consapevoli di quanto siamo fragili e di quanto abbiamo bisogno gli uni degli altri.
Rimarrà in questo angolo di mondo che loro, in modi diversi, hanno amato fino alla fine.
Per sempre grati. Per sempre in lutto. Per sempre Brazzano.
Foto di Chiara Panzera
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