'Aria e Luce': il teatro in carcere tra rieducazione ed esppressione della libertà interiore

'Aria e Luce': il teatro in carcere tra rieducazione ed espressione della libertà interiore

IL PROGETTO

'Aria e Luce': il teatro in carcere tra rieducazione ed espressione della libertà interiore

Di GIULIA DE MONACO • Pubblicato il 31 Mar 2025
Copertina per 'Aria e Luce': il teatro in carcere tra rieducazione ed espressione della libertà interiore

Un anno di scena, arte e cultura nella Casa Circondariale di Gorizia con il progetto Se io fossi Caino, un percorso di trasformazione e consapevolezza che supera le mura del carcere.

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“Aria e luce/ un anno di teatro, arte e cultura in carcere” è l’epilogo di un percorso introspettivo, terapeutico e rieducativo che ha preso corpo nella Casa Circondariale di Gorizia grazie al prezioso contributo di Fierascena Aps. Il laboratorio artistico dal titolo "Se io fossi Caino", capitanato da Elisa Menon, direttrice artistica di Fierascena, si inserisce nella più ampia dimensione del trattamento rieducativo che, per i non addetti ai lavori, risponde all’art. 27 della Costituzione italiana, laddove viene sancito che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. La dottorssa Veronica Venturoli, educatrice della casa circondariale di Gorizia e portatrice di esperienza ventennale in ambito rieducativo, spiega che in carcere non c’è solo bisogno di insegnare ai detenuti un mestiere.

I detenuti hanno bisogno di nutrirsi nell’anima e i percorsi di tipo artistico come questo li incoraggiano ad avviare un incontro profondo con sè stessi. Le emozioni in gioco sono fortissime, spesso ambivalenti. Non tutti reggono il confronto con il proprio mondo interno. Nella maggior parte dei casi però, questa riconciliazione avviene e, quando ha luogo, è dirompente e trasformativa. Si tratta di un percorso che “sostiene e non costringe”, afferma Elisa Menon, precisando che il teatro non è di nessuno, ma è di chi utilizza questa esperienza come un’occasione per farsi carico di sé.

Del suo ingresso in carcere, la direttrice della casa circondariale di Gorizia, dott.ssa Caterina Leva, racconta di aver incontrato una comunità viva, in continuo fermento, nonostante le oggettive difficoltà del quotidiano. Le moltissime attività trattamentali, tra le quali si inserisce il laboratorio teatrale ‘Aria e luce', sono frutto di un lavoro corale dell’area educativa e dell’area della sicurezza. Lo sforzo congiunto di tutti gli operatori penitenziari concorre alla quotidiana trasformazione dei detenuti che partecipano a questo progetto. Raccontare che cosa il teatro rappresenti per la comunità detenuta non è scontato in quanto va ben oltre l’imparare delle battute o stare sul palcoscenico. ‘Aria e luce’ è qualcosa di più: uno strumento di auto consapevolezza e di auto determinazione fondamentale che valica le mura di cinta. La libertà non si configura, infatti, unicamente come libertà di movimento o libertà del corpo; si tratta piuttosto di una condizione della mente e dello spirito. Il teatro, la scrittura e l’arte, più in generale, sono tutti strumenti che avvicinano alla comunità e contribuiscono alla risocializzazione.

Il teatro di Elisa Menon, oltre a dare voce e visibilità a persone che non ne hanno, restituisce una certa complessità del carcere. Non è errato affermare, infatti, che esista una crisi del sistema carcere che va di pari passo con la crisi del suo racconto. A tale proposito, il Commissario Capo della casa circondariale di Gorizia Guido Tipaldi, spiega che si fa spesso riferimento ad una narrazione, predominante in alcuni contesti, caratterizzata dall’inadeguatezza dell’organizzazione del carcere. Narrazioni spesso accompagnate da immagini ritraenti detenuti che vagano senza meta in corridoi bui, accompagnati da agenti della polizia penitenziaria che portano in mano chiavi di grosse e pesanti dimensioni, laddove c’è sempre lo zoom sul blindato, immagine che di per sè espone ad una certa tristezza. Oggi si parla poco di carcere, ancor meno della sua progettualità, se non in funzione di accadimenti tragici. Ecco che ‘Aria e Luce’ diventa occasione di messa in trasparenza del possibile all’interno di un luogo, il carcere, dove non sembra esserci spazio per la bellezza.

Una casa circondariale fonte di ‘Aria e Luce’ può esserlo, in questo caso, grazie al progetto ‘Se io fossi Caino’, festival di teatro e arte in carcere che si presenta come punto di arrivo di un percorso condiviso all’interno del quale il tema della partnership è centrale. Sono infatti diverse le realtà che vi partecipano: la Caritas diocesana di Gorizia, la regione Friuli Venezia Giulia e le associazioni di volontariato che a vario titolo prestano la loro attività in carcere. Ciascuno offre la propria collaborazione concorrendo alla realizzazione del cambiamento. Il giornale ‘il numero 8’ si inserisce qui, nello spazio del possibile. Marco Bisiach, direttore e creatore del giornale, lo descrive come un piccolo miracolo, avvenuto grazie all’incontro e allo scambio di una decina di detenuti motivati attorno al tema del giornalismo.

Nel corso degli appuntamenti, coordinati da Bisiach, i detenuti hanno compiuto uno sforzo di consapevolezza chiedendosi che cosa funziona e che cosa non funziona all’interno del tempo e dello spazio che giornalmente abitano, il carcere. L’idea è che al suo interno non vada tutto male, questo vogliono trasmettere; intendono raccontare ciò che nutre restituendo un’immagine del carcere e di sè diversa dal sentire comune. Fermarsi e uscire dagli automatismi: è questo il tentativo di onestà che ha guidato l’intero processo. ‘Il numero 8’ fa sì che le storie di vita dei detenuti possano fuoriuscire dal carcere ricordando a ciascuno di noi che tutti potremmo essere Caino.

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