Andrea Segre torna a Gorizia con il documentario 'Noi e La Grande Ambizione'

Andrea Segre torna a Gorizia con il documentario 'Noi e La Grande Ambizione'

l'incontro

Andrea Segre torna a Gorizia con il documentario 'Noi e La Grande Ambizione'

Di Rossana D'Ambrosio • Pubblicato il 17 Nov 2025
Copertina per Andrea Segre torna a Gorizia con il documentario 'Noi e La Grande Ambizione'

Presentato in ottobre al Festival del Cinema di Roma, martedì 18 novembre verrà proiettato al Kinemax di piazza Vittoria, dove il regista incontrerà il pubblico dalle 20.15.

Condividi
Tempo di lettura

Dopo il successo dello scorso anno con il film “Berlinguer – La grande ambizione”, il regista Andrea Segre torna nelle sale con il documentario “Noi e La Grande Ambizione”, distribuito in sala dal 10 novembre da ZaLab in collaborazione con Lucky Red e Circuito Cinema. Un percorso che si è sviluppato durante la distribuzione italiana del film che ha richiamato al cinema soprattutto le nuove generazioni. A presentarlo al Kinemax di Gorizia martedì 18 novembre sarà lo stesso Segre, che ha concesso un’intervista alla nostra redazione anticipando alcune tematiche toccate nel suo ultimo lavoro.

A proposito del film su Berlinguer, prima di girarlo avevi detto a Elio Germano: «Proviamoci». Adesso ci riprovate con un documentario sullo stesso film: in fondo la politica, quella sana e pragmatica, sembra piacere, al popolo…
Ci abbiamo provato in modi diversi, nel senso che nel primo caso ci siamo messi alla prova, nel secondo ci siamo proposti di raccontare quanto accaduto, tentando di metterci in ascolto di questo risveglio, del rapporto con l’emozione politica. C’è sempre una grande difficoltà nella relazione con la rappresentanza politica, ma senza dubbio si è verificato un risveglio in molte parti d’Italia, con particolare protagonismo delle nuove generazioni. Con questo termine intendo tutti quelli nati dopo Berlinguer, compreso i quarantenni. Un risveglio del desiderio di cercare il senso di un pezzo della vita, anche nell’impegno politico. Vale a dire, della voglia di sentire un’emozione collettiva e non soltanto individuale, di percepire una commozione, un condividere un’emozione profonda legata a destini comuni, e non soltanto alla carriera privata. Questo sicuramente c’è, e ritengo sia la conseguenza diretta di tanti anni di crisi di quest’aspetto. Finora abbiamo sempre raccontato la crisi della collettività e dello stare insieme, dove la società si individualizza diventando consumista. All’interno questa crisi produce anche anticorpi, e fermarsi a raccontarli e comprenderli è interessante.

La politica recente ha disatteso le speranze e pare lontana anni luce dalla collettività globale. Trump costringe i vertici della BBC alle dimissioni, mentre l’Italia definisce gli Stati Uniti “colonne del mondo”. In questa staticità piatta, dove sta la democrazia?
Senz’ombra di dubbio da anni, al di là che tu sia di destra o di sinistra, ci sono due modi di fare politica. Uno è quello aziendalista, che tendenzialmente si sposa con le oligarchie perché gestisce la politica attraverso il potere, considerando i cittadini clienti: modalità che può essere proposta sia dalla destra che dalla sinistra. Costruisco un gruppo di esperti/potenti che verticalmente prende il potere e poi determinano scelte, e per convincere la gente a votarlo è bravo a fare marketing. Questa è un’idea dall’alto al basso. Poi esiste un’altra idea di politica, in cui parto, vado nei quartieri, nei territori o nei comuni, m’interrogo su “Come stiamo”, non chiedo solo “Come state”. Individuo ingiustizie, mancanze di diritti, necessità comuni. Le metto insieme e chiedo a tanti di lavorare assieme per lottare e ottenere una giustizia. Poi a questo devo aggiungere anche gli strumenti di comunicazione, i simboli, le idee, però è quello il percorso. Certamente, in questo momento il simbolo di questo percorso è Mamdani, il simbolo dell’altro è Trump, sono due direzioni diverse. Però questo percorso dal basso all’alto c’è stato anche nella destra, l’inizio della Lega era quello. È l’essere oligarchico o popolare, questa è la differenza. Diciamo che tendenzialmente l’essere oligarchico fa più comodo alla destra e l’essere popolare alla sinistra, ma non è una regola. Certamente, il secondo mezzo, quello popolare, risveglia entusiasmi, costruisce energie e genera collettività, perché trasforma l’elettore in cittadino, allargando la partecipazione e rendendo la democrazia più viva. L’altro metodo non ha bisogno di cittadini attivi, ma di clienti, per cui se non vanno a votare non è grave, basta che ci sia la maggioranza che vota per me.

La separazione delle carriere, la sanità privatizzata, la scuola sempre più imbrigliata nella burocrazia: qual è la via d’uscita a questo cul de sac?
Rilanciare occasioni di partecipazione che fanno capire che la democrazia è lo spazio pubblico da difendere, però non si può fare dall’alto, rispondendo con contrarietà. Se insegui sei destinato a perdere. È necessario proporre dei sogni alternativi e non lamentarsi. Non ci si deve limitare alla difesa della democrazia o alla difesa della costituzione, percepite come conservazione. È generare sogno che produce collettività e partecipazione, non è generare ansia perché le cose vanno male. Questo sfalda. Certo, dentro il sogno ci può essere rabbia, conflitto, mentre l’altra è solo ansia di perdere qualcosa. Spesso il rischio è perdere qualcosa che non funzionava tanto bene. Non è che la magistratura, la sanità e la scuola in Italia funzionino bene, ed è bizzarro che il progetto alternativo sia difenderle.

Come si può migliorare la scuola?
Aumentando i salari almeno del 40% agli insegnanti, che hanno stipendi troppo bassi. Il loro non è un impiego di prestigio, ma è un lavoro importante; in questo senso, lo è in forma totale, in quanto sono le figure alle quali affidiamo i nostri figli. Bisogna farlo diventare un lavoro in cui hai voglia di fare.

Come hanno reagito i giovani al film su Berlinguer?
Intanto venendo a vederlo in decine di migliaia, e poi spiegando che di quel tipo di emozione loro hanno bisogno. Non di Berlinguer e del PCI, ma di quel tipo di condivisione, solidarietà ed emozione. Non è che si emozionano perché vogliono essere comunisti, assolutamente. Si emozionano perché là dentro c’è un pezzo del senso della vita che soprattutto a vent’anni quando esci di casa ti accorgi che è fondamentale.

«Il cinema sublima la memoria» portando in sala la comunità: ad alzarsi è la voce di operai e casalinghe, che prestano il proprio tempo per una felicità collettiva. È questa stessa coralità che intende restituire il docufilm?
Non può essere la stessa, nel senso che siamo cambiati, e non ci può essere il sogno di tornare a quella società. Ma il documentario indaga l’esistenza di un pezzo di società che cerca quella comunità, che può nascere solo se contiene e valorizza diversità e differenti appartenenze. Non puoi chiedermi di essere un “noi” monolitico come il partito. Non esiste più, in questo mondo, però può esserci un “noi” che permette di andare al di là delle separazioni, che al contempo le contiene. È un “noi” che si nutre delle diversità, e i movimenti più intensi delle nuove generazioni sono proprio quelle dell’intersezionalità: non è vero che mi occupo solo di quel tema, che sono solo quel partito, ho bisogno di attraversare diverse possibilità e farlo con il mio portato personale che incontra gli altri. Sia con il dialogo tra personale e pubblico, sia con il dialogo tra diversità. Laddove si riesce a costruire, si ottiene maggior partecipazione, mentre se si obbliga ad appartenere si ottiene una partecipazione scarsa.

È già uscito nelle sale?
È in viaggio e attraversa l’Italia dal 6 novembre, adesso lo sto portando in Nord Est, oggi (16 novembre, ndr) è in Veneto e domani sarà a Pordenone e Udine, mentre dopodomani a Gorizia e Trieste. Però sono già stato in Toscana, Emilia, ieri ero a Caserta, dopo Trieste andrò in Sardegna, poi a Palermo.

Altri progetti e work in progress?
Sto iniziando a lavorare a delle ipotesi, quando sarò sicuro potrò comunicarlo. (Foto: ZaLab) 

Rimani sempre aggiornato sulle ultime notizie dal Territorio, iscriviti al nostro canale Telegram, seguici su Facebook o su Instagram! Per segnalazioni (anche Whatsapp e Telegram) la redazione de Il Goriziano è contattabile al +39 328 663 0311.


Articoli correlati
...
Occhiello

Notizia 1 sezione

...
Occhiello

Notizia 2 sezione

...
Occhiello

Notizia 3 sezione