IL PODCAST
A ‘Voci dal confine’ la testimonianza di don de Nadai, «prete senza tonaca che bussava porta per porta»

Un altro episodio è dedicato al racconto del repoter Rudyard Kipling che visitò Gorizia nel 1917.
Negli ultimi giorni "Voci dal Confine", il podcast che racconta storie vere nate e cresciute sul margine – geografico, storico o umano – ha pubblicato due nuovi episodi molto diversi tra loro, ma legati da un filo comune: il bisogno di ascoltare chi sta al bordo, chi non ha mai avuto il centro della scena. Il primo episodio è un viaggio sorprendente nella Gorizia raccontata da Rudyard Kipling, scrittore e reporter, che nel 1917 visitò il nostro territorio e ne tracciò un ritratto spiazzante e potente. Un’occasione per riscoprire come ci vedeva “da fuori” uno dei più grandi narratori del Novecento.
Qui il link al podcast su Kipling: (clicca qui). Il secondo episodio, uscito il 21 luglio scorso, è una storia più intima e radicata: quella di Lucia Calandra, cresciuta nel rione di Sant’Anna a Gorizia, segnata dall’incontro con don Alberto de Nadai, il “prete di strada” che ha seminato gesti di umanità dove non c’era ancora nulla. Qui il link al podcast su Lucia Calandra: (clicca qui). Ed è proprio a partire da questo secondo episodio che nasce l’articolo che segue: un omaggio a don Alberto, ma anche un riconoscimento concreto a chi – come Lucia – continua ogni giorno a portare avanti la sua eredità.
Un’intera vita chinata sul prossimo: don Alberto e la solidarietà a Gorizia
Il cuore pulsante di Sant’Anna. Negli anni Sessanta, il rione di Sant’Anna a Gorizia non era ancora un quartiere compiuto: strade mancanti, case in costruzione, famiglie alla ricerca di un’identità. In questo contesto, Don Alberto de Nadai – nato il 28 novembre 1932 a Salgareda (TV) e ordinato sacerdote alla fine degli anni ’50 – ricevette l’incarico di “fare comunità”, più che erigere strutture pastorali rigidamente tradizionali. È in questo contesto che incontriamo Lucia Calandra, una bambina di undici anni appena trasferita da poco con la sua famiglia. Persa, spaesata, priva degli affetti di prima, la piccola Lucia si imbatté nella generosità semplice di don Alberto: un prete che, pur senza tonaca, bussava porta per porta, raccoglieva i bambini nel «negozio» vuoto dell’oratorio e offriva loro relazioni, ascolto e senso di appartenenza.
Un prete sulla via. Il ministero di don Alberto si divise sostanzialmente in due fasi: prima il ruolo istituzionale come segretario vescovile e vice-rettore del Seminario diocesano; poi l’esperienza a Sant’Anna, spinto ad «avvicinare la gente» con un taglio operativo e umano.Il sacerdote era conosciuto per camminare tra i vicoli, senza temere il disagio o il rifiuto, offrendo cura concreta a tutti, credenti e non. Una scelta radicale di solidarietà: nel suo corteo non c’erano agi, ma la vita vera, costruita tra case in costruzione e vite senza radici.
Dalla marginalità all’impegno concreto. Il suo progetto non finì sull’altare: dopo essere stato rimosso dalla parrocchia e privato dell’insegnamento nelle scuole, don Alberto non rinunciò alla sua vocazione. Si trovò a fare l’operaio, visse in ricoveri di fortuna, fino a ottenere un appartamento in Via Canova dove nacque un laboratorio sociale vero e proprio. E da lì sorsero: la Comunità Arcobaleno: (rifugio e ripartenza per chi viveva per strada), la Cooperativa Arcobaleno: valorizzazione del lavoro dei cosiddetti “ultimi”; La Tempesta: comunità terapeutica autogestita per uscire dalle dipendenze; ed infine l’Oasi del Preval: spazio di inclusione per le fragilità psichiche.
Un’azione concreta di solidarietà strutturata sul «servizio sulla via», fatta con le mani e con il cuore, non per il clamore, ma per l’impatto reale.
Un’eredità viva: l’eco nella vita di Lucia. Intervistare Lucia è stato un gesto simbolico ma carico di significato. È lei, oggi, testimonianza vivente della potenza di quel seme piantato da don Alberto. Da bambina spaesata, Lucia ha ricevuto un’educazione non alla retorica, ma all’azione solidale: la Chiesa non è un edificio, ma le persone, diceva lui; il Vangelo si vive con i fatti, non solo con le parole. Questo ha segnato la vita di Lucia, plasmando un impegno civico che trova le sue radici esattamente all’interno di quei gesti concreti: una pasta condivisa, un invito a giocare, una presenza silenziosa nel bisogno.
Un esempio per chi lavora nel sociale. La storia di don Alberto – e il percorso di Lucia che ne è espressione – ci mostrano che la solidarietà non è un concetto astratto, ma una scelta quotidiana. È presenza silenziosa, porta aperta, mano tesa. È una vita dedicata all’altro, anche quando il sistema ti allontana, anche quando nessuno ti riconosce. A chi oggi opera nel sociale, è questo l’invito che arriva da Sant’Anna: continuare a costruire relazioni autentiche. Non fermarsi ai buoni propositi. Non cercare il palco o il consenso. Piuttosto, cercare le crepe nell’asfalto – come Lucia c’era – e far fiorire dentro di esse atti di umanità. Ecco perché, anche dopo decenni, don Alberto resta il “prete di strada” che ha lasciato tracce profonde. E Lucia, portavoce silenziosa di quell’insegnamento, ci ricorda che la solidarietà è il solo modo per uscire dal confine in cui molte città – e molte persone – restano intrappolate.
Foto d’archivio Il GorizianoRimani sempre aggiornato sulle ultime notizie dal Territorio, iscriviti al nostro canale Telegram, seguici su Facebook o su Instagram! Per segnalazioni (anche Whatsapp e Telegram) la redazione de Il Goriziano è contattabile al +39 328 663 0311.

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