Salva l’ancona di Viscone, racconta un miracolo della Madonna della Neve

Salva l’ancona di Viscone, racconta un miracolo della Madonna della Neve

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Salva l’ancona di Viscone, racconta un miracolo della Madonna della Neve

Di Ferruccio Tassin • Pubblicato il 12 Set 2022
Copertina per Salva l’ancona di Viscone, racconta un miracolo della Madonna della Neve

Sulla robusta rete che completa il portoncino d’ingresso e che permette di vedere il dipinto, c’è un varco quadrato: o le offerte più abituali dei contadini consistevano in pannocchie gettate nel sacello.

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L’ha schivata per un pelo l’ancona col nuovo svincolo stradale adiacente all’eternamente erigendo nuovo ponte sul Torre a Viscone, sulla vecchia strada che guadava il torrente.
Ora ha un cipresso accanto, ma anticamente - non si sa quando - lì c’era una quercia, una enorme quercia, isolata, anche se non lontano c’è il “Modolêt”, toponimo che ricorda un bosco di roveri.
Un corso d’acqua - un tempo - era una risorsa, ma un problema, per il transito, benché il Torre fosse (ed è) a regime torrentizio.
Un documento del primo Ottocento narra l’odissea di un cappellano di Nogaredo, di ritorno, a notte, da una sua doverosa presenza alla chiesa plebanale di Chiopris.
Le parole fanno lacrimare la lettera, rivolta al vescovo, per spiegare come pesasse quel dover andare, col cappellano narrante un attraversamento dell’ampio alveo, che pareva teatro delle stazioni d’una concentrata via crucis.

Ma il fatto che diede respiro ad un voto (poi soddisfatto) di costruire un’ancona sul luogo dov’è ancora, avvenne in un’estate drammatica d’epoca ignota, dal Seicento in qua.
Un gruppo di viandanti, forse di ritorno da una festa per la Madonna d’Agosto (la Madonna della Neve), incappò in un evento atmosferico straordinario: piovve a dirotto in una di quei temporali tremendi, in cui le forze della natura si scatenano.

Cadde prima liquida, poi solida, l’acqua, un qualcosa tra grandine e neve. L’avessero portata in salvo la pelle, i viandanti, riparatisi sotto la mastodontica quercia, fecero il voto di far costruire un’ancona alla Madonna della Neve, come ebbe a raccontare Felice Peressin di Nogaredo. L’ancona, nel 1910, si ebbe un dipinto di Giulio Justulin (o Justolin) detto “Giulio Pitôr”, che da queste parti fu molto attivo (ciclo di affreschi a Viscone, affreschi a Madonna di Strada e Chiopris) dipingendo una madonna anche in un sacello a Versa.
Un’altra particolarità ha questa ancona, forse eretta sui resti più antichi di una precedente: sulla robusta rete che completa il portoncino d’ingresso e che permette di vedere il dipinto, c’è un varco quadrato; sempre di Felice è la spiegazione: oltre che di qualche spicciolo le offerte più abituali dei contadini consistevano in pannocchie gettate nel sacello perché fosse onorata la Regina del Cielo.

Tutti conoscono la leggenda della Madonna della Neve e della basilica che le venne eretta nel 352, in seguito a una miracolosa nevicata la notte tra il 4 e il 5 agosto. Un affresco, proprio di Giulio Justolin, ne racconta la pia leggenda. Estesissimo e scenografico, si trova a Visco, sulla parte sovrastante l’arco trionfale e racconta in maniera didascalica il fatto.

Un anno, in occasione del perdòn che cade in quella data, il predicatore, mons. Eulogio Sabbadini, già parroco di Versa, parlò del miracolo come di un fatto non credibile “Ce, ce - ebbe a dire in friulano - Isal mai pussibil che vegni le nêf di avost? E jè une pie lejende plui che un meracul!”. Successe un putiferio e il predicatore, nel parlare della gente, fu sommerso di critiche, tanto che, l’anno dopo, il parroco mons. Miniussi chiamò un altro predicatore che si espresse in maniera assai più flautata. Del resto, senza qui disquisire di miracoli di storia meteorologica, che sia venuta una “nevicata” d’agosto è capitato più volte.
Chi ha la fortuna di veleggiare su numeri alti d’età, ricorderà grandine, fitta fitta e fine fine e abbondante, caduta (per fortuna assai di rado) anche in periodi che il caldo direbbe non propizi per imbiancature.
Così tra arte e leggenda, tra fede e testimonianze del sacro, opere d’arte piccole e grandi continuano a raccontare di gente che si aggrappa alla speranza.

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