Luci e ombre di un convento, secoli di storia nella bassa pianura del Friuli

Luci e ombre di un convento, secoli di storia nella bassa pianura del Friuli

la recensione

Luci e ombre di un convento, secoli di storia nella bassa pianura del Friuli

Di Ferruccio Tassin • Pubblicato il 22 Gen 2022
Copertina per Luci e ombre di un convento, secoli di storia nella bassa pianura del Friuli

Il libro di Marco Sicuro racconta la storia del luogo, tra uomini e fede.

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Castello, dal ’500 al 1797, nella Contea di Gorizia. Ecclesiasticamente, prima patriarcato di Aquileia, poi, dal 1752 al 1818 archidiocesi di Gorizia: oasi austriaca in territorio veneto. Non per lisciare il pelo a Marco Sicuro, ma il suo libro "Luci e ombre di un convento della bassa pianura friulana (1290-1785)" è frutto di un lavoro non da poco. Per scrivere di storia, bisogna farsi il sedere piatto a forza di girar documenti; non basta girarli: bisogna saperli leggere, spesso tradurre, valutare, interpretare, sintetizzare e trarne un racconto coerente. Tale è questo lavoro.

Quando uno si fa un dottorato di ricerca in una materia umanistica, come ha fatto Marco Sicuro in storia medievale, fa un lavoro enorme di studio, e se non serve un voto di castità, quello di povertà sì! Carmina non dant panem: i versi (ma più latamente si intendeva cultura) non danno pane. Allora il merito diamoglielo noi a Marco Sicuro, per questo libro fatto come si deve.
È sulla strada, Castello. Dopo un paio di curve, ti blocca: se non guardare, vedere si deve il complesso di San Francesco sul rialzo di terra con la chiesa.

L’andare per strada è richiamato da San Giacomo (i santi parlano), la cui statua lignea troneggia sull’altar maggiore. Lui è strada, pellegrino, guida spirituale, nell’andare della vita, pellegrinaggio dalla terra al cielo. Plebi misere, stritolate dalla natura e dalla “superiorità” di pochi, si toglievano il pane di bocca, per queste chiese: fede, speranza, disperata invocazione a Dio mediante la Madonna, i Santi. Nella cantoria della chiesa di Castello, ad altezza del gesto per attingere, c’è un “buzzin” dell’acqua santa, colto allora, piccolo, emergente da strati e strati di colore a calce, che ne aveva alterata, la modesta, popolare, ornamentazione, incisa nella pietra.

Serviva ai frati che venivano dal convento in chiesa. Quante mani avranno toccato là dentro l’acqua santa, esaltazione della misericordia, e supplica a Dio? Non si può capire tutto questo, se non ci si immerge nel clima totale dello spirito. A chi scrive, per privilegio, è capitato di perdersi nella nebbia notturna di queste terre, che proprio la nebbia sposa, unendo acqua, terra e cielo. Sembrava la preparazione ad un colloquio con storia e parti di questa chiesa. Otto, nove secoli abbracciano lei, che parla, momento per momento, se ascoltarla si vuole.

San Francesco è riemerso sulla lunetta della porta d’ ingresso in un restauro. Secoli fa, giudicarono il dipinto senza speranza; incapace di predicare, perché sbiadito. La mentalità del restauro non c’era: o parlava, una immagine, o doveva tacere, se non per intero eloquente. Per noi, oggi, invece, è una presenza. San Francesco, l’amatissimo e ubiquitario Sant’Antonio, da Padova, (1195-1231), altro santo della carità, ben presente nei suoi “Sermoni”: “L’anima della fede è la carità, che la tiene viva: venendo meno la carità, la fede muore”, e ancora “Il pane, così chiamato perché si pone [in tavola] insieme con ogni altro cibo. Simboleggia la carità, la quale deve accompagnare ogni altro cibo di opere buone. Tutto si faccia nella carità” (1Cor 16,14). Come senza pane la mensa sembra squallida, così senza la carità le altre virtù sono un nulla: esse sono perfette solo unite alla carità …”.

La acribia germanica di Marco Sicuro ha permesso alla chiesa di riprendere il colloquio con le persone. L’autore di quest’ampia e articolata ricerca si è immerso per intiero nella storia del francescanesimo, non con improvvisazione, ma per “antica” consuetudine, nonostante la giovane età. Vasta messe di bibliografia accompagna la ricerca, che parla del luogo, ma non è mai “locale”: è una tessera del mosaico che il messaggio francescano ha materializzato con la presenza di comunità numericamente anche minime, ma di vasto significato sociale.

Marco Sicuro si inoltra nella ricerca, dopo aver creato un quadro generale, per capire il fenomeno, dal Medioevo alla soppressione del convento e alla sua sparizione fisica. Smonta la pia leggenda che avrebbe voluto la fondazione dalla presenza di Francesco; dà visione ampia e documentata degli ordini mendicanti; chiarisce il non semplice concetto di povertà; si inoltra nella storia dei conventi francescani in Friuli, affronta il formarsi, il vivere e il tramontare del convento di Castello. Attinge, per questo, a numerose fonti inedite goriziane e dell’archivio Frangipane (Joannis), la famiglia che lega il proprio nome alla vita del convento.

Dimostra capacità di analisi, che nasce quasi da empatia con elenchi di superiori, note di spesa, lettere, “suppliche” ai potenti … Esce il quadro della vita del popolo, intendendo con questa parola ciò che Giorgio La Pira definiva pateticamente “la povera gente”. Uno degli aspetti più sensibili del lavoro è proprio il vivere della “povera gente” nel periglioso cammino terreno. Si legge bene questo libro; si entra in colloquio con la storia e, se si capisce, viene in mente che in questo mondo, oltre che di giustizia, c’è ancora tanto desiderio di carità e speranza…

Nella foto: l’immagine di San Francesco nella lunetta sull’ingresso alla chiesa di Castello.

Marco Sicuro, Luci e ombre di un convento della bassa pianura friulana (1290-1785), Udine 2021, Gaspari Editore, pp.162, € 18.

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